Mentre il parlamento e il consiglio europeo si avviano al confronto finale sulla direttiva sul salario minimo proposta dalla commissione Ue il 25 novembre 2021 in Italia il problema continua a registrare divisioni nella maggioranza e tra i sindacati confederali. La situazione non è nuova in una legislatura che sta volgendo a termine e, sebbene esistano diversi progetti di legge in parlamento, nessuna componente favorevole al salario minimo nell’ambito della maggioranza (5Stelle, LeU, Pd, Italia Viva e, a giorni alterni la Lega, contraria Forza Italia) ha trovato il modo di avanzare una proposta unica.
Tutto resta fermo al Senato dal 2018. I lavori si sono di nuovo sbloccati – non è la prima volta, non sarà l’ultima – il 10 maggio scorso dopo un’altra sfuriata di Conte che considera anche il «salario minimo» una «bandiera» dei Cinque Stelle. Il dirigente grillino ritiene che sarebbero i senatori Pd ad essere i responsabili della stasi dell’attività sulla misura. Gli emendamenti sono già stati illustrati (molti sono sostitutivi o abrogativi), si attendono le relazioni tecniche dei ministeri dell’Economia e del Lavoro e i pareri della commissione Bilancio di Palazzo Madama. Nessuno può fare previsioni sui tempi.
Come per la delega fiscale il governo sta cercando una mediazione e convocherà un altro confronto «nelle prossime settimane». Il ministro del lavoro Andrea Orlando ha proposto che il trattamento economico complessivo, contenuto nei contratti maggiormente rappresentativi «possa diventare il salario minimo di riferimento per tutti i lavoratori di quel comparto. Questo non recupererebbe tutto quello che si è perso con l’inflazione ma eviterebbe di far sprofondare la fascia di lavoro più povero. Sarebbe questa già una risposta importante».
Il segretario del PD Enrico Letta ha rinnovato ieri la proposta in un pacchetto di misure che dovrebbe rispondere al problema solo di recente scoperto dalla politica italiana: i salari fermi da un trentennio, l’aumento dell’inflazione (che non è da salari, ma per il prezzo delle materie prime) e lo scarso potere di acquisto provocato dalla precarizzazione estrema. Quest’ultima è stata attivamente proposta dal partito di Letta in altre stagioni, quella renziana.
Oggi Letta prospetta una generica riforma delle forme contrattuali più precarie e evoca l’abolizione degli stage gratuiti. «C’e’ l’impegno ad arrivare al salario minimo, come fanno in Germania e come fanno in Australia, paesi che sono simili al nostro e che hanno fatto una scelta che anche noi dovremmo fare» ha detto. A suo avviso andrebbero fatte «le riduzioni fiscali sulle tasse sul lavoro. E’ insopportabile che l’Italia abbia incentivato tutti gli investimenti finanziari e gli investimenti sulla rendita e non le tasse sul lavoro che sono tra le più alte d’Europa. Quindi ridurre le tasse sul lavoro per dare più soldi in busta paga ai lavoratori e per rendere anche più agevole dare lavoro da parte dei datori di lavoro , da parte delle imprese, le piccole e medie imprese».
Al salario minimo si oppone Forza Italia. Ieri il suo ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta ha detto che «rischierebbe di spiazzare le relazioni industriali e di produrre effetti negativi a catena sul mercato del lavoro. Riflettiamoci molto bene». «Brunetta che se la prende con il salario minimo in nome della difesa del sindacato fa ridere» ha detto Nicola Fratoianni di Sinistra Italia.
Anche i sindacati confederali sono divisi. Se per Maurizio Landini (Cgil) bisogna agire su “contratti, fisco e legge sulla rappresentanza che recepisca anche il salario minimo nel nostro paese” per Pierpaolo Bombardieri (Uil) deve coincidere «con i minimi contrattuali», per Luigi Sbarra (Cisl) non serve, bastano i minimi contrattuali. Per Maurizio Stirpe Confindustria non avrebbe problemi perché i minimi dei suoi contratti sarebbero più alti della cifra media del salario minimo a cui si sta pensando (tra i 9 e i 10 euro lordi)..
MARIO PIERRO
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