Quattromila effettivi provenienti da sette paesi della Nato si esercitano in questi giorni in Sardegna in simulazioni di guerra. Sessantacinque le navi che circondano le coste dell’isola. Impegnati anche caccia, elicotteri, sottomarini e reparti anfibi con mezzi da sbarco e veicoli d’assalto. Un’ordinanza firmata dallo stato maggiore della Difesa ha dato il via, dieci giorni fa, a un’imponente manovra, cui è stato dato il nome di «Mare aperto». Si andrà avanti sino al 27 maggio.
Tre settimane di fuoco, con proiettili, bombe e missili lanciati contro litorali di eccezionale pregio naturalistico. Teatro dell’esercitazione, come sempre, i tre principali poligoni militari sardi: Quirra, Capo Frasca e Teulada. Ma stavolta lo schieramento di forze è talmente vasto che la Difesa ha pensato bene di bloccare anche altri siti fuori delle basi permanenti. Un’ordinanza della capitaneria di porto di Cagliari ha infatti vietato l’accesso a diciassette aree a mare, vicino ad alcune delle spiagge più note: Poetto, Villasimius, Cala Pira, Capo Ferrato, Porto Pino, Porto Corallo. Su questi arenili, si legge nell’ordinanza della capitaneria di porto, «sono vietati il transito, la sosta, la navigazione, l’ancoraggio di ogni tipologia di unità navale, comprese quelle da diporto, nonché le immersioni, la balneazione, la pesca ed i mestieri affini».
A stagione turistica già partita, tutta la costa meridionale dell’isola ed entrambi i tratti sud delle coste orientali e occidentali sono quindi assediati dalle forze Nato. Ma i danni economici al comparto turistico sono soltanto un aspetto della questione. Mentre alcuni alti ufficiali dell’esercito – tra i quali il generale Claudio Graziano, ex presidente del Comitato militare dell’Unione europea – sono indagati a Cagliari per disastro ambientale perché non avrebbero impedito che l’area del poligono di Teulada fosse irreparabilmente inquinata a causa dei giochi di guerra, le coste della Sardegna continuano a essere devastate dalle esercitazioni militari. E il tutto per effetto di semplici ordinanze della Difesa, che ignora con arroganza ogni confronto con la Regione Sardegna e, soprattutto, con le comunità locali che dalle manovre militari sono duramente colpite.
Il parallelo tra «Mare aperto» e la guerra in Ucraina viene di default. Un portavoce della marina militare italiana a Cagliari ieri ha dichiarato che l’operazione «non ha nulla a che vedere con la situazione in Ucraina» e che si tratta di «normale routine». Ma a parte che siamo di fronte a una routine comunque devastante, se si considera l’attuale scenario internazionale non è strettamente necessario pensare al Mare di Azov per guardare con allarme a un’esercitazione Nato delle dimensioni di quella programmata in Sardegna, con truppe speciali anfibie ultra selezionate che sbarcano sulle coste supportate dai caccia e dal sostegno tattico di navi da guerra e di sottomarini. Con bombe e missili veri.
Contro «Mare aperto» scendono in campo i movimenti anti basi. Sardinia Arestis, una delle sigle più attive, ha convocato per domenica prossima a Teulada una manifestazione alla quale hanno aderito tutte le altre sigle dell’universo antimilitarista. Tra i media regionali, il quotidiano l’Unione sarda ha denunciato con una pagina intera le criticità di «Mare aperto». Sorprende invece l’indifferenza della politica. A Cagliari come a Roma, silenzio.
COSTANTINO COSSU
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