La pace va sempre difesa. Anche da certi pacifisti, quelli che la sbandierano nelle piazze con le associazioni partigiane e con quelle che non interpretano la Costituzione resilientemente ma piuttosto letteralmente, con una certezza della morale politica che non sempre corrisponde alla altrettanto certezza del diritto.
La pace va difesa da quei pacifisti che, dopo aver arrotolato le bandiere arcobaleno e averle riposte nelle loro sezioni di partito, in Parlamento votano per l’aumento delle spese militari italiane, per l’invio di milioni e milioni di proiettili, mitragliatrici e sistemi missilistici “portatili”, da poggiare sulle spalle, come quando si fa fare “cavalluccio” ad un bambino.
La pace va difesa dagli ipocriti e dai sostenitori della giustizia sociale, della difesa del lavoro che fanno parte della grande maggioranza di unità nazionale di Draghi: quella che sostiene un governo che non potrà mai mettere una seria, vera progressività fiscale per aiutare i più poveri e indigenti, facendo pagare giusto un tantino di più i ricchissimi, gli affaristi, i padroni di questo disgraziato Paese.
La pace fa difesa dagli uomini di fede che sono pronti a benedire le modernissime armi di distruzione di massa, i carri armati e gli aerei, i bombardieri per cui anche Putin invoca un santo patrono, gli uomini su cui dovrebbe discendere la grazia divina e l’investitura crociatesca per liberare l’Europa forse anche un po’ da sé stessa, da una tentazione al dialogo che non deve egemonizzare le burocratiche coscienze dei capi di governo: la strada giusta è vendere armi su armi agli ucraini, dopo averle vendute per decenni ai russi.
La guerra si può vincere solo se si aumenta il gettito bellico, se si condannano preventivamente i disertori dell’uniformazione: potrebbe essere – a pensarci bene – una splendida crasi formata dall'”uniformità” dell'”informazione“. Un neologico gratuito per significare lo stato di desolante omologazione che tutte le guerre creano in un popolo che, avendo trovato un Satana da combattere, può distrarsi un po’, dopo due anni di pandemia e di crisi economica, di destrutturazione ulteriore dello stato-sociale, di impoverimento regressivo delle fasce giù particolarmente piegate dalle politiche liberiste degli ultimi anni.
Che la pace la difendano i pacifisti è dato per scontato: la colpevolizzazione di chi si rifiuta di dare un soldo e un saldato per la guerra è l’ispirazione che pervade i commentatori dei grandi quotidiani, quelli che pretenderebbero di far ridere e che ti lasciano addosso una sensazione di frustrazione emergente, che ti costringono a prendere in considerazione una rassegnazione davanti alla grande massa di convinzione popolare sulla giustezza dell’invio delle armi.
Poi arriva un sondaggio su una grande televisione nazionale, una di quelle abituate a servirsi di questi strumenti per orientare l’opinione pubblica e, siccome quella redazione non pare avere proprio una vena editoriale pacifista, pensi che questa volta forse il sondaggio è più realistico di altre volte: il 55% degli italiani tutte quelle armi inviate in Ucraina non le avrebbe mandate. Avrebbe avuto almeno qualche dubbio; avrebbe preso in considerazione quei canali diplomatici accantonati quasi subito da una azione unitaria dell’Europa.
Ma nemmeno questo convince i teorici della guerra da far fare agli ucraini con le armi nostre a ripensarsi, a riconsiderare un errore, a smuovere le loro certezze derivate da una reazione quasi istintiva, per cui alla violenza arbitraria si risponde con la legittima difesa.
Nulla da eccepire, ma nessun governo in questa vicenda è assolto: quello di Mosca è criminale per gli omicidi di massa che sta perpetrando ogni giorno, da quasi un mese, a Mariupol, a Kiev, a Kherson e nelle altre città dove le sirene suonano, dove ci si salva solo momentaneamente dentro a dei rifugi di fortuna. Quelli americani, nordatlantici, europei e anche asiatici hanno le gravissime colpe di essere i produttori di una regia globale che mette in scena un film dell’orrore più nero.
Le colpe dell’occidente non assolvono nessuno, così come le colpe di Putin non sono un deterrente per il nostro mondo che definiamo “libero“, “democratico” e “civile” e che ha, dalla fine della Seconda guerra mondiale, soffocato le libertà e i tentativi di democrazia e civiltà di molti popoli: Vietnam, Corea, Cile, Honduras, tanti paesi africani, il Kurdistan mai nato, la Palestina rinchiusa in una prigione a cielo aperto… E poi la Serbia e i Balcani, l’Iraq, l’Afghanistan e ancora l’Iraq, le primavere arabe, la Libia, la Siria. E dall’altra parte, la cappa oppressiva sull’Est, l’Afghanistan pure qui, la Cecenia e il Caucaso in fiamme, gli interventismi in Libia e in Siria…
Libertà, democrazia e civiltà non possono essere valori universali se non accompagnati alla giustizia sociale, al rispetto per la vita di tutte e di tutti e non sono sinonimi di “precarietà” e “sfruttamento“, al riparo dalla frenesia profittuale dei capitalisti occidentali e dalla voracità degli oligarchi orientali o del capitalismo di Stato (o “socialismo con caratteristiche cinesi“) che si materializza mano a mano che si va verso levante.
La guerra in Ucraina non è un maledetto accidente capitato per caso: è, per il popolo che la subisce, una conseguenza di questa globalizzazione assassina. Detto questo, però, come fanno notare in molti: che si fa? Come li si aiuta gli ucraini? Perché poi le chiacchiere, se non stanno proprio a zero, ci arrivano molto, ma molto vicino.
Sembra, ogni ora, ogni giorno che trascorre, che il piano di Volodymyr Zelens’kyj per difendere il suo paese funzioni solo se è la Russia putiniana a volerlo. Lo stupore per il mancato avanzamento del fronte, almeno a nord, proprio sopra e attorno a Kiev, non deve ingannare. Chi gigioneggia e ostenta l’eroicità del popolo ucraino come arma potenzialmente soverchiante la superiorità schiacciante dell’esercito comunque ampiamente smarrito delle tante reclute assoldate da Putin, fa troppo presto i conti senza l’oste.
E’ vero che, con ogni probabilità, è fallito il piano originario di invasione lampo e occupazione della capitale con eliminazione repentina del governo di Kiev. Ma è altrettanto vero che un piano B i russi lo avevano e lo stanno mettendo in pratica. Un piano molto più costoso di quello A in quanto a vittime, in particolare tra la popolazione civile. L’ecatombe in cui si sta trasformando Mariupol è il paradigma di una guerra certamente condotta con schemi anacronistici, con una inimmaginabile distopia che invece si realizza tragicamente nel tributo di sangue versato dagli innocenti più innocenti di tutti.
L’invio delle armi non il sostegno ad una resistenza come quella italiana: non ci sono qui truppe alleate che combattono sul terreno e, come gli americani e gli inglesi da sud verso nord, qui percorrono l’Ucraina da ovest verso est, muovendo da quella Leopoli che viene bombardata sempre più frequentemente.
L’ipocrisia indecente di chi chiede di armare gli ucraini e di lasciarli soli a combattere è una “mediazione” tra il presunto “non fare niente” degli antimilitaristi e dei pacifisti e chi vorrebbe l’intervento della NATO, come Volodymyr Zelens’kyj chiedeva fino a pochi giorni fa e come alcuni membri del suo governo continuano a reclamare tutt’oggi.
Ecco perché la pace va difesa in particolar modo da certi pacifisti, perché sono speculari a quelli che, parlando di più equità sociale e di sostegno al lavoro, una volta che sono chiamati a decidere come dividere i fondi del PNRR non hanno dubbi sul destinarli praticamente tutti a contenere gli errori dei padroni, del mondo dell’imprenditoria. Il mondo nel mondo che nega il mondo stesso e il suo diritto a vivere veramente in una pace che non sia quella da difende sempre e soltanto con la minaccia dei conflitti, con la “deterrenza” nucleare…
MARCO SFERINI
19 marzo 2022
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