Su Kiev piovono le bombe mandate da Putin e i contraccolpi si sentono ovunque, anche in quei luoghi – così si pensa – ovattati e protetti che sono le case editrici, le biblioteche, le librerie. Come in un domino perverso l’aggressione russa all’Ucraina colpisce figure molto lontane da questa guerra sciagurata.
Tra le vittime, salvato in extremis, Fëdor Michajlovic Dostoevskij, morto centoquarant’anni fa, oggetto di un corso curato da Paolo Nori, che l’anno scorso all’autore di Delitto e castigo ha dedicato un romanzo/biografia, Sanguina ancora. L’università milanese della Bicocca, che organizza le lezioni, prima le ha cancellate «per evitare ogni forma di polemica in quanto momento di forte tensione» e poi ha cercato goffamente di fare marcia indietro, spiegando che no, il corso non era stato annullato, si voleva solo aprire «un momento di riflessione» con Nori, con l’obiettivo di includere nel programma anche autori ucraini.
Ma se Dostoevskij è riuscito a salvarsi all’ultimo momento (gli era già successo in vita quando, condannato alla pena capitale per avere scritto contro il regime zarista, fu graziato mentre si trovava sul patibolo), non così è per le case editrici russe che nel giro di poche ore si sono ritrovate tagliate fuori dal mondo. Una dopo l’altra, le grandi fiere dell’editoria hanno escluso la Russia in segno di condanna per la guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina.
I primi a essere colpiti sono stati gli editori dei libri per ragazzi: il padiglione russo mancherà dalla Fiera di Bologna, la manifestazione più importante nel mondo per la letteratura dell’infanzia, in programma dal 21 al 24 di questo mese, perché «la Bologna Children’s Book Fair sospende con effetto immediato ogni collaborazione con le organizzazioni ufficiali russe per la partecipazione alla fiera». Stessa decisione ha preso RX, l’ente che organizza la fiera del libro di Londra (prevista tra il 5 e il 7 aprile), seconda per importanza solo alla Buchmesse di Francoforte: «In una situazione che evolve rapidamente, RX segue le sanzioni e le politiche governative in ogni territorio in cui operiamo.
Di comune accordo, non ci sarà un padiglione russo alla London Book Fair 2022». Idem, la Buchmesse stessa che ha già annunciato «di avere sospeso la cooperazione con le istituzioni statali russe incaricate di organizzare lo stand collettivo russo alla Fiera di Francoforte». Non così, il Salone del libro di Torino: «Non boicotteremo gli autori russi», dice il direttore Nicola Lagioia, precisando però che la manifestazione è rivolta al pubblico e quindi le case editrici sono solo italiane.
Ma c’è chi pensa che queste sanzioni non bastino. «Boicottaggio totale dei libri russi nel mondo!» si intitola un appello lanciato dallo Ukrainian Book Institute, dal Lviv International Book Forum e da PEN Ucraina, in cui si legge fra l’altro che la propaganda russa «è intessuta in molti libri e anzi li trasforma in armi e pretesti per la guerra» e si chiede alle case editrici di tutto il mondo «di fermare la distribuzione in libreria online e offline di libri di autori ed editori russi, di smettere di comprare e vendere diritti a e da editori russi» e inoltre «di sospendere la partecipazione della Russia, delle sue case editrici, dei centri culturali e degli autori a tutte le fiere internazionali del libro e ai festival letterari e di terminare le sovvenzioni per le traduzioni di autori russi contemporanei in lingue straniere».
Di fronte a queste richieste, Daniela Di Sora, fondatrice e direttrice di Voland, stenta a trovare le parole per un commento: la sua casa editrice, ricorda, prende il nome di uno dei personaggi del Maestro e Margherita, capolavoro di uno scrittore di lingua russa, Michail Bulgakov, nato a Kiev e vissuto a Mosca «ucraino o russo?») e ha proposto ai lettori italiani scrittori russi e ucraini (fra questi ultimi, uno dei più importanti, Serhiy Zhadan) anche su versanti politicamente opposti, nella convinzione che «un libro non deve conoscere confini, è un’arma di altro tipo, uno strumento per la conoscenza».
Anche Denise Silvestri, che è fra l’altro la traduttrice di Vladimir Sorokin, forse tra gli scrittori russi quello che si è espresso in modo più netto contro Putin e ne ha subito le rappresaglie, è atterrita di fronte alle conseguenze che l’attacco all’Ucraina porta al mondo della cultura russa: «Ho il cuore spezzato. Nel corso del mio lavoro mi è capitato di tradurre diversi autori ucraini russofoni. Sono mondi che si intersecano, anche se ognuno fa il suo percorso. Non è possibile far pagare a innocenti le azioni di una sola persona: è chiaro che le sanzioni servono perché chi finora ha taciuto parli, ma non tutti sono in grado di prendersi rischi come ha fatto Sorokin. Stiamo assistendo a prese di posizione crudeli».
Crudeltà, se non altro verbale, di cui è stato testimone Leonardo Fredduzzi, vicedirettore dell’Istituto di lingua e letteratura russa, che ha sede a Roma: «Noi non siamo un ente ufficiale, non riceviamo sovvenzioni e ci siamo dichiarati da subito contrari alla guerra, invitando allievi e soci a fare donazioni alla Croce rossa, che è presente nel Donbass dal 2014 e conosce bene i contorni di questo tremendo conflitto. Eppure ci sono arrivati messaggi d’odio, ci hanno scritto che la lingua russa è morta, che tutta la cultura russa esprime sopraffazione, anche i grandi classici».
Le bombe cadono, i patiboli si moltiplicano. E non sappiamo se nella carneficina qualcuno si salverà.
MARIA TERESA CARBONE
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