Kiev non è stata rasa al suolo. Sembrano suggerire questa semplice chiosa i numerosi messaggi che abbiamo ricevuto dai nostri contatti nella capitale stamane. Però, non c’è nulla che autorizzi a riprendere fiato, se non il fatto che un’altra notte, la sesta dall’inizio della guerra, è passata.
Al confine meridionale della città, dove si imbocca l’autostrada diretta a Odessa, una fila chilometrica di automobili si incanala nella strettoia creata dal genio militare per mezzo dei dissuasori di cemento. Il militare di guardia si avvicina al finestrino del conducente con la mano destra sul calcio del mitra e la sinistra appoggiata sulla canna, riceve i documenti e poi ordina di aprire il portabagagli. Controlla svogliatamente e indica con un cenno del mento in quale piega delle borse vuole che sia fatta più chiarezza. È praticamente impossibile controllare davvero, le auto in fila sono tutte stracariche di ogni tipo di valigia, busta o borsone.
Senza contare il carico umano: tutti i sedili sono occupati, dai finestrini a volte si intravedono tre, forse quattro generazioni familiari. A un certo punto una vecchia Lada si accosta a un altro soldato, il conducente al quale la giacca militare lisa non si abbottona più, parlotta con il militare e gli mostra sacchi a pelo e stuoini da campeggio. Il militare fa cenno all’altro di fermare il traffico e far passare l’uomo.Qualche chilometro più avanti lo vediamo fermo al bordo dell’autostrada nei pressi di un altro check-point intento a distribuire l’equipaggiamento a dei civili armati, probabilmente un battaglione di difesa territoriale a guardia di un paese.
Anche loro hanno i dissuasori montati ai due lati della carreggiata e al centro, poco più avanti, i cavalli di frisia e il filo spinato a completare lo sbarramento. All’incrocio una struttura quadrata fatta di quattro pali, una rete su tutti i lati e centinaia di fronzoli di stoffa bianca, è una postazione per cecchini. Ne avevamo vista una uguale in piazza a Kharkiv, di fronte al municipio che ieri è stato pesantemente bombardato dalle forze russe.
Qui i soldati scavano trincee e sistemano la terra rimossa su dei sacchi di sabbia. Sull’altra corsia quasi nessun civile ma molti soldati intenti a costruire fortificazioni nel terreno e ad armeggiare con i cartelli stradali. Non sappiamo se li cambiano per confondere un’eventuale avanzata russa o per indicare che alcune uscite non sono più attive, fatto sta che sulle lamine di metallo catarifrangenti di tutta l’Ucraina oggi ci sono strisce nere che coprono le indicazioni.
C’è un’altra colonna, in qualche modo speculare a questa e più famosa, quella delle truppe russe in avanzamento su Kiev rilevate dal satellite Maxar due notti fa. Sia che si tratti di una mossa tattica di Putin per influenzare le trattative di pace in corso, sia che si dovessero rivelare un vero e proprio contingente d’assalto, il suo primo effetto l’ha ottenuto. Ha seminato il panico e ha spinto molta gente a cercare riparo verso Ovest.
Dopo poco c’è una grande biforcazione, verso sud si prosegue per Odessa, verso Ovest verso Leopoli. Chi sceglie la prima opzione molto probabilmente cercherà di raggiungere la Moldavia e passare il confine. Sono in pochi a volersi fermare a Odessa, il suo destino è ancora incerto e da quando si sono intensificati i bombardamenti a Kherson, Mariupol, Rivne e nelle zone a nord-ovest della capitale in molti iniziano a pensare che l’opzione b sia verosimile. Di che si tratta?
Solo di un’ipotesi, ma si basa sul fatto che per qualche motivo l’esercito russo non riesca a prendere Kiev. In quel caso scatterebbe un’operazione massiccia in tutte le principali città del Paese. L’evoluzione delle manovre a Kharkiv sembrerebbe corroborare questa teoria ma, per ora, atteniamoci ai fatti. Che sono migliaia di famiglie in fila di fronte alle sbarre delle dogane polacche o moldave. Per ore siamo rimasti in coda ad attendere che ci controllassero i passaporti e abbiamo assistito alle scene più disparate. Spesso arrivavano dei ragazzi o degli uomini di mezza età a scaricare i parenti e poi ripartivano soli.
In virtù dello stato d’emergenza e della legge marziale proclamate dal governo Zelensky, i maschi dai 18 ai 60 anni non possono abbandonare il Paese. Poi, al mattino presto, siamo riusciti a passare e ci siamo diretti verso Chisinau. Qui, il polo fieristico «Moldexpo» è stato convertito in centro d’accoglienza. Abbiamo incontrato Nelo, un ragazzone di 26 anni che è qui da mercoledì notte e ci ha raccontato senza imbarazzo che «la Moldavia è un Paese povero, molte persone qui non hanno molto, ma guardatevi intorno, guardate quanta gente c’è qui ad aiutare i nostri fratelli ucraini, tutto ciò è grandioso».
Per verificare i numeri citati dai volontari abbiamo verificato con il ministero degli interni e risulta che tra il 24 febbraio e il 1° marzo 87.250 cittadini ucraini sono entrati nel territorio della Repubblica di Moldova, di cui il 95% direttamente dal territorio ucraino e il restante dalla Romania. Oltre a non essere ricca, la Moldavia non è neanche grande, questa gran quantità di persone a un certo punto, che non è poi lontano, diventeranno di difficile gestione per il governo locale. Va detto che una buona parte si è già spostata in altri Paesi vicini, ma ogni giorno i nuovi arrivi sono migliaia, sicché la cifra si equilibra.
Contemporaneamente, l’Alto Rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la sicurezza, è a Chisinau per verificare la stessa situazione. Auspichiamo che l’Unione si renda conto dello sforzo che la Moldavia sta sostenendo, e di quello che dovrà affrontare, e adotti le misure adeguate. Si consideri, per citare un dato, che secondo fonti ucraine le persone sfollate dall’inizio della guerra e ora presenti negli stati limitrofi sarebbero già 836.000.
Nastya, una ventenne arrivata sabato da Odessa che ora si è impegnata come volontaria nel Moldexpo, ha raccontato che «in città già venerdì aveva chiuso tutto. Poi il sindaco e gli altri hanno fatto un appello a mostrarsi coraggiosi e a riaprire almeno le farmacie e alcuni negozi, il che è stata una fortuna perché mia nonna è molto anziana. Poi, sabato mattina, abbiamo visto dei razzi nel cielo e con mia madre abbiamo capito che non era più il momento di aspettare così siamo scappate».
Anche verso nord i moldavi si sono dimostrati disponibili con i profughi ucraini, nell’unico ostello disponibile in un paesino vicino alla frontiera, la vecchia proprietaria è entrata nella stanza senza bussare mentre terminavo quest’articolo e mi ha chiesto una mano per spostare i divani in uno stanzone al primo piano.
Lì da due giorni sono arrivate due famiglie ucraine che a ora di cena abbiamo incontrato sedute a tavola a intente ad ascoltare notizie sull’avanzamento del conflitto da uno smartphone. Si sono sforzati di sorridere quando siamo arrivati, magari pensavano anche di parlare d’altro con degli stranieri ma, alla notizia dell’ennesimo bombardamento su Kharkiv, hanno preso i bambini in braccio e se ne sono andati a chiudersi nello stanzone.
SABATO ANGIERI
foto: screenshot tv