Una signora vestita di grigio con i capelli raccolti canticchia un motivetto dolce mentre sfila le coperte dalle lenzuola e le separa per terra. Riesce anche a sorridermi mentre la fisso attratto da quelle note. Intorno a lei una decina di persone stanno spostando tutti i materassi che fino a oggi hanno ospitato un gruppo di rifugiati della Croce Rossa nei sotterranei nell’hotel. Finché erano qui ci sentivamo tutti un po’ più sicuri; non si spara sulla Croce Rossa, lo dice anche il proverbio.
Da metà giornata sono tutti partiti, «l’hotel non è più operativo» ci ha spiegato il manager, David, «d’ora in poi se volete restare è una vostra scelta, possiamo mettervi a disposizione solo il rifugio». «Ma tu resti?» Sospira e risponde che non lo sa. Verso le 20, il garage convertito a rifugio è vuoto, la ressa degli ultimi giorni di fronte al tavolino con il cibo stasera non c’è, neanche il cibo c’è. Per qualche motivo tutti parlano a bassa voce e i pochi rumori che si sentono sono quelli dei cellulari che squillano.
Passando dai sotterranei alla camera si può notare che hanno ammassato tavolini e frigoriferi di fronte all’ingresso principale. Due uomini con una tuta verde fissano il gran divano centrale interdetti, chiedendosi se spostare anche quello.
Poco fa si sono sentite tre grandi esplosioni, il cielo di Brovary, appena fuori Kiev, si è illuminato brevemente. Un messaggio su Telegram avverte che i russi hanno lanciato una nuova offensiva contro la capitale ucraina proprio mentre iniziavano ad arrivare i primi report dall’incontro diplomatico di Gomel. Lì, al confine tra Ucraina e Bielorussia, le delegazioni dei due stati belligeranti si sono incontrate per la prima volta dall’inizio delle ostilità per discutere le condizioni del «cessate il fuoco».
Le prime informazioni parlano di cinque ore di trattative nelle quali Putin avrebbe chiesto il riconoscimento dell’appartenenza della Crimea alla Russia, la smilitarizzazione e la neutralità dell’Ucraina. Sembrano richieste ragionevoli, in controtendenza rispetto al buio nero del «muro contro muro» finora presagito. La delegazione ucraina sta tornando a Kiev e fonti interne al governo hanno annunciato che le trattative riprenderanno «nei prossimi giorni».
Ma non c’è riposo per il presidente ucraino in questi giorni, prima di cena viene diramato l’annuncio che Zelensky ha firmato la domanda ufficiale di adesione all’Unione Europea. Nel frattempo, la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che «l’Ucraina è una di noi e la vogliamo con noi nell’Unione». Per tutto il giorno gli abitanti di Kiev si sono affollati davanti ai pochi supermercati aperti per fare provviste, senza sapere quando sarà la prossima volta che potranno comprare cibo e beni di prima necessità. Le file erano lunghissime e per chi è arrivato tardi restavano solo alcol scandente e sigarette di marche sconosciute.
Ogni volta che in un negozio entravano i militari, soprattutto giovani, la fila si apriva, venivano fatti passare avanti e serviti immediatamente. Uno di questi, che mi ha urtato con il fucile uscendo, ha riempito una busta solo di patatine e cioccolata e, una volta fuori, ho sentito i commilitoni che gli urlavano contro prima di costringerlo a rientrare un po’ imbarazzato.
Le dichiarazioni della mattina di Putin, che lasciava un corridoio umanitario aperto per 24 ore, in città sono stati interpretati come una sorta di minaccia. Moltissimi hanno provato a lasciare la capitale, tutti coloro che per strada camminavano senza buste della spesa avevano in mano borse o valigie. Il caos ha regnato sovrano per tutto il giorno ma, per fortuna, le sirene hanno risuonato solo poche volte e non ci sono stati incidenti gravi nella capitale.
Diana, ucraina che ha dei parenti a Milano, si è recata alla stazione per provare a salire sul treno che ogni giorno, alle 14, porta gratuitamente a Leopoli. Purtroppo però non è riuscita a partire ed è tornata indietro molto affranta.
Ha raccontato scene molto concitate, la gente si spingeva per accaparrarsi ogni centimetro disponibile dei vagoni e, per molto tempo, i controllori non sono riusciti a far chiudere le porte.
A metà giornata il governo ucraino ha annunciato un aumento delle paghe per i militari a circa 3.000 dollari al mese e uno stanziamento straordinario di 33 milioni di dollari alla banca nazionale per le forze armate. Ma la notizia sensazionale, è il caso di dirlo, è la scarcerazione dei detenuti che sceglieranno di arruolarsi nelle forze di difesa territoriale.
«So che sembra una scelta pericolosa» ha dichiarato Zelensky, «ma il Paese deve essere difeso con ogni mezzo necessario». Intanto, continuano gli arruolamenti nelle «brigate internazionali» istituite dal governo ucraino. Al momento sarebbero già diverse migliaia le nuove reclute.
Mentre a Kiev veniva annunciata la riduzione del coprifuoco alle sole ore notturne (dalle 20 alle 7), le immagini dell’attacco russo a Kharkiv avevano già fatto il giro del mondo. Secondo fonti ucraine, non ancora confermate, i russi avrebbero bombardato la città con missili Grad causando la morte, di numerosi civili.
Sempre nella stessa area, il sindaco di Mazehora e il sindaco di Pivdennyi, sono stati arrestati con l’accusa di alto tradimento per aver «cooperato con le forze russe». Le autorità locali hanno dichiarato che i due primi cittadini avrebbero fornito supporto alle truppe degli invasori e gli avrebbero consegnato le città.
Difficile dare conferma di tutto ciò che accade qui. La guerra mediatica è parte integrante dello scontro militare in atto ed entrambi gli stati la stanno combattendo duramente a colpi di comunicati e contenuti multimediali. Ciò che è certo è che in Occidente si dovrebbe smetterla di continuare a parlare di fornitura di armi all’Ucraina come unica soluzione. Per aiutare l’Ucraina davvero bisognerebbe smetterla di soffiare sul fuoco e iniziare a favorire le trattative di pace. Diversamente, saremo solo i complici di una possibile carneficina.
SABATO ANGERI
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