Le proteste contro il caro carburante ieri hanno paralizzato la Puglia. Nel barese i camionisti hanno bloccato la statale 96 e la zona di Altamura. Domani i tir lumaca minacciano di arrivare a Bari e non escludono di spostare la protesta a Roma. Le manifestazioni (molto diffuse al Sud) stanno mettendo in crisi l’intero agroalimentare: lo stop allo scarico merci nel porto di Bari ha bloccato il mais destinato agli animali nelle stalle.
Almeno tre i presidi nel foggiano, i panificatori avvertono: ancora 48/72 ore e poi non si potranno sfornare i prodotti. A Torremaggiore un autotrasportatore è stato ferito al fianco da un automobilista (poi fermato dalla polizia) dopo un diverbio. Proteste anche a Lecce, Brindisi e nel tarantino.
«Essere isola costa alla nostra economia 6,5 miliardi di euro l’anno» ha ricordato ieri il governatore siciliano Musumeci. «Limoni pronti per la Germania, arance per la Svizzera, ortaggi per i mercati del Nord. Migliaia di euro in fumo se non si sblocca la vertenza dei tir – la denuncia di Coldiretti regionale -. Da Palermo a Catania fino a Siracusa e Ragusa, tutta la merce è bloccata nei magazzini e altra deve essere subito raccolta». E ancora: sit in in Calabria, nei pressi degli svincoli di Gioia Tauro e di Rosarno; blocchi mobili in Campania, nel casertano e a Nola; paralisi del porto di Ravenna.
Che impatto stanno avendo i rincari lo spiega Coldiretti: «In Italia il costo medio del trasporto pesante è di 1,12 euro a chilometro, più alto di Francia (1,08 euro) e la Germania (1,04 euro), addirittura doppio se si considerano Lettonia, Romania o Polonia. Con l’85% delle merci che viaggia su strada, lo sciopero dei tir provoca danni incalcolabili con frutta, verdura, funghi e fiori che marciscono.
A preoccupare è anche l’impatto sulle esportazioni con i concorrenti stranieri pronti a prendere lo spazio del made in Italy mettendo a rischio il record di 52 miliardi di export realizzato nel 2021». Allevatori, agricoltori e pescatori della Coldiretti domani mattina manifesteranno da nord a sud. La protesta, in particolare, potrebbe allargarsi ai pescatori: si attende un crescita del 100% del costo del gasolio per i pescherecci; in media, ogni imbarcazione subirà un aumento di circa 37mila euro con il rischio di dover rimanere in porto.
Lancia l’allarme anche la Cia: «Migliaia di aziende sono a rischio collasso a causa di costi di produzione insostenibili (più 40% rispetto agli anni scorsi), con una ripresa minacciata dall’inflazione (più 4,8% a gennaio) e ora anche dalla crisi ucraina. Si registrano rialzi fino al 120% delle bollette energetiche a inizio 2022 rispetto a un anno fa. A cui si aggiungono quelli dei fertilizzanti (più 150% in 6 mesi) e l’incremento del 40% del gasolio».
Zootecnia: «Il costo di produzione del latte fresco è circa 45 cent/litro – spiega la Cia – mentre il prezzo di vendita è di circa 39 cent/litro. Le stalle sono fortemente dipendenti dal mais di cui Kiev è secondo paese fornitore (700mila tonnellate). Il granturco è il principale ingrediente delle diete per gli animali (47%) e ora la crisi in atto va a pesare su un prodotto che è già aumentato del 24%. Per colpa dei rincari, i costi medi di produzione sono già aumentati tra il 10% e il 20% sul grano, sull’olio extravergine d’oliva, sul vino e sul pomodoro da industria. Gli interventi del governo non arginano la crisi».
Alla Camera ieri il ministro Cingolani ha spiegato: «Per le famiglie i costi dell’energia sono aumentati del 55% e quelli del gas del 42%. La crescita è stata vertiginoso. Ma non è la transizione ecologica che sta impattando sugli aumenti – ha ammesso -. Siamo dipendenti dall’import del gas. Dalla Russia prendiamo tra il 43 e il 45%, con punte più alte». Il Piano di emergenza prevede l’incremento della produzione nazionale di gas naturale e del gas liquefatto importato da America, nord Africa e Azerbaijan. Per concludere: «Serve una riflessione non ideologica sull’energy mix» che sembra alludere al nucleare.
La replica in Aula da Muroni: «Bisogna alzare le ridicole royalties sulle estrazioni, tagliare i sussidi ai combustibili fossili. Esiste una relazione tra i costi delle bollette e la transizione ecologica ed è il ritardo sulle rinnovabili. Sintomatico il provvedimento che tassa i profitti delle fonti pulite, mentre le aziende fossili come Eni dormono sonni tranquilli. Il caro energia non si risolve diversificando il gas ma uscendo dalla dipendenza».
ADRIANA POLLICE
foto: screenshot tv