All’inizio sembrava una boutade. Poi si è pensato a una proposta grottesca ma per questo improbabile. Ora sappiamo che si tratta di una minaccia reale. 26 gennaio 1994 – 24 gennaio 2022: a distanza di ventotto anni la seconda discesa in campo dell’uomo di Arcore configura un attentato non meno grave all’integrità sostanziale della Repubblica. Come allora, i suoi seguaci s’indignano all’idea di incompatibilità. Gli analisti evitano di evocarla, preferendo rifugiarsi nel calcolo delle probabilità. Gli avversari stentano a pronunciare l’anatema, per la preoccupazione fondata che sia un modo per favorire l’esito infausto. C’è chi grida all’esagerazione, pensando all’apparente debolezza del leader oggi, a paragone del momento della sua ascesa. C’è chi non si scompone neppure di fronte alla piega ricattatoria che la sua pretesa ha assunto. Ma la realtà è questa: l’ombra di Berlusconi torna ad allungarsi sulla vita del Paese.
Non si tratta di un candidato come gli altri, ma del magnate che ha tentato di manomettere la democrazia italiana facendo delle istituzioni una proprietà privata. I difensori lo accreditano per i meriti attuali: un europeista convinto, un moderato, un vero liberale. Una specie di redenzione. C’è chi lo porta alle stelle per la sua distanza da Trump, cioè dall’uomo che ha scatenato e blandito la sovversione contro il Congresso americano. Anziché vedere in Trump la versione estrema di Berlusconi, hanno lodato Berlusconi come versione attenuata di Trump. Basta questo per fare di lui un candidato decente? Non basta. Perché rappresenta tutto il contrario di quel che si invoca di regola con parole auliche come profilo della massima carica della Repubblica: fedeltà alla Costituzione, sobrietà, alto senso delle istituzioni, rispetto del Parlamento.
Berlusconi non è una figura patetica al tramonto, è l’ostinato anche se ammaccato interprete di un progetto di svuotamento della democrazia rappresentativa. Della sua trasformazione in una democrazia presidenziale fondata sullo strapotere del leader carismatico dotato di mezzi illimitati soprattutto nel settore della comunicazione. Non è un personaggio incontaminato, ma un pluricondannato ancora soggetto a procedimenti penali, e condannati per gravi reati sono due tra i più solerti artefici della sua ascesa: segno di quanta illegalità l’abbia accompagnata e favorita.
Un imprenditore affiliato a un’associazione segreta, la P2, non sembra avere il profilo per guidare imparzialmente la Repubblica. Certamente un pregiudicato che ha scontato le sue pene dev’essere riammesso al pieno godimento dei diritti civili, compreso quello di guidare il partito che ha fondato, ma ci vuole una bella faccia tosta a pensare di affidargli la più alta e perciò più delicata carica dello Stato.
La sua visione della magistratura era – e fino a prova contraria rimane – quella di un ostacolo alla conquista del potere, che occorreva aggirare, imbavagliare e sottomettere, scatenando all’occorrenza proteste di piazza, come avvenne almeno in un caso, profeticamente anticipato nel celebre film Il Caimano di Nanni Moretti. La sua idea del Parlamento come organo da mettere al suo servizio commissionando leggi ad personam ai suoi avvocati, e da usare per proclamare che una sua protetta minorenne di origine marocchina era la nipote di Mubarak. La sua concezione dei diritti civili spingeva i deputati del suo partito a chiamare assassini i parlamentari favorevoli a una legge per sottrarre Eluana Englaro a una vita vegetativa. Il suo senso del decoro e della sobrietà gli suggeriva di fare le corna dietro le spalle degli statisti europei coi quali si incontrava.
Infine, l’età. Anche l’età ha a che fare coi progetti e con le mitologie della politica. L’aura di immortalità ha spesso circondato i grandi personaggi della storia, prima e soprattutto dopo la loro scomparsa. Berlusconi di anni ne ha ottantacinque. Augurandogli lunga vita, al termine del mandato ne avrebbe novantadue. Un tempo prometteva l’eterna giovinezza, oggi minaccia l’eterna vecchiaia (la sua) al Quirinale. Ha sempre sfidato il tempo servendosi delle terapie e della cosmesi, dei trucchi fotografici e delle simulazioni, del lifting e delle bandane.
Ma dove dovremmo arrivare su questa strada? Forse alla circolazione della sua immagine sintetica e alla sua voce registrata in sostituzione della sua persona? Non accade già così, quando la sua figura affabile compare in ambienti fioriti, il volto liscio fermato in un sorriso stereotipato? O quando la sua partecipazione ai raduni del suo popolo virtuale si materializza come un’apparizione sonora oracolare del nume? Come ci ha insegnato lui per primo, c’è una vita televisiva che va oltre quella naturale. Il reale e il virtuale sono divenuti intercambiabili.
Dunque, un fantasma si aggira attorno al Quirinale, lo stesso che il 26 gennaio del 1994 annunciò a quaranta milioni di spettatori pressoché in simultanea, il suo amore per l’Italia e il suo desiderio perciò di possederla per amore o per forza. Ogni distrazione, ogni sottovalutazione, può costarci cara. Risvegliarci alla fine di gennaio con mister B. al Quirinale, significherebbe affacciarci su uno scenario di cui è difficile immaginare fino in fondo i tratti. Ce lo dice, più di ogni altra cosa, l’impudenza della sua rivendicazione: è un risarcimento che mi è dovuto!
ANTONIO GIBELLI
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