Dieci anni dopo “i fatti di Genova“, Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci uniscono le loro esperienze e scrivono un libro che oggi sembra un romanzo a metà tra lo spionaggio e l’azione, il giornalismo d’inchiesta e la cronaca dettagliata e puntigliosa di quanto avvenne nel caos che venne ordinatamente predisposto da quelli che un tempo avremmo chiamato “apparati deviati” dello Stato. In quell’estate del 2001 non ci fu nemmeno tanto bisogno che le istituzioni si celassero granché o provassero a fingere di essere estranee a tutto quanto accadeva.
Il tentativo di dare la colpa degli scontri e della devastazione di Genova fu l’unico – e non per questo meno grave – atto di eversione (im)morale: la punta visibile di un grande iceberg di menzogne, depistaggi e mistificazioni di parole, azioni, comportamenti dei manifestanti no-global. Sotto all’eversione immorale dello Stato stava un altro tipo di eversione anticostituzionale, incivile e letteralmente “antipopolare“: l’utilizzo di ogni strumento di coercizione e di repressione per negare i più elementari diritti umani, per ridurre al niente i diritti del cittadino, per farsi persino beffe della rappresentanza parlamentare davanti ai cancelli della Diaz o nei cortei deviati o fermati per la minaccia del “Black block“.
Senza questa eversione autoritaria, pianificata e (s)ragionata, messa avanti alle stesse grate poste a difesa della “zona rossa” dove si teneva la riunione dei Grandi 8 del pianeta, non sarebbe stato possibile nessun castello accusatorio nei confronti dei manifestanti: centinaia di migliaia di giovani, di pensionati, di sindacalisti, di militanti di partito e di movimento, conobbero una costituzione alternativa a quella vigente e sperimentarono letteralmente sulla loro pelle tutta la violenza di uno Stato che si contrapponeva alla Repubblica.
Mai come nelle giornate del G8 di Genova “L’eclisse della democrazia” – che è il terribilmente bel titolo del libro di Agnoletto e Guadagnucci, edito nella “Serie bianca” di Feltrinelli nel decennale dalla morte di Carlo Giuliani, dalla Diaz e da Bolzaneto – si è resa così palesemente inequivocabile proprio nello scindere il potere dello Stato dalla comprensione della Repubblica. Verticalità ed orizzontalità delle istituzioni sono state separate e si sono allontanate fra loro quasi spontaneamente, creando un vuoto etico prima ancora che legislativo nella conduzione della dirigenza dell’ordine pubblico, nel contenimento degli eccessi, nella cosiddetta “gestione della piazza“.
Ci volle molto coraggio in quel luglio del 2001 per andare contro corrente, anche giornalisticamente parlando; per accorgersi fin da subito che il Black block non era un gruppo di presunti anarco-insurrezionalisti arrivati nella Superba tutti vestiti di nero, con grandi tamburi e bandiere rette da aste altissime, rigidissime tanto da ricorda vecchi servizi d’ordine di manifestazioni sessantottine o truppe uscite dai racconti di Tolkien nella Terra di Mezzo.
Genova è la Terra di Nessuno, dove la Costituzione della Repubblica è davvero sospesa ad altezza di manganello e di idrante, di lacrimogeno e di carica di battaglioni antisommossa vestiti meglio di Robocop. Il primo giorno, quello del corteo internazionale dei migranti, ogni cosa pare svolgersi nella relativa calma di una programmazione e di una intesa tra Genoa Social Forum e Questura, tra movimenti e governo.
E’ solo una prova generale, una tattica messa in atto da chi intende tastare il terreno, annotarsi i numeri della partecipazione, osservare le reazioni tanto dei singoli arrivati da ogni parte del mondo quanto delle organizzazioni sindacali, dei partiti e dei gruppi autogestiti del cosiddetto “estremismo anarchico“. Il Black Block si aggira furtivo, fa delle comparse, si muove sempre con gli stessi ritmi, tambureggiando, marciando come una piccola falange anonima, priva di simboli, accostabile un po’ da tutti all’etichetta inflazionata dell'”antagonismo“, ma difficilmente catalogabile e comprensibile.
Tute bianche, Cgil, Rifondazione Comunista, rappresentanti dei partiti esteri sono un po’ tutti sorpresi dalla presenza di questi ragazzotti che sembrano essere più uno spettacolo improvvisato, un flash mob ante litteram che mostra i suoi muscoli, avvelena i pensieri e intimorisce per l’atmosfera cupa e truce che emana. Per giorni lo sguardo dei giornali e delle televisioni si concentra sul blocco nero che viene associato alla grande folla dei manifestanti. I grandi blocchi di cemento che compaiono un po’ ovunque, da Brignole al mare, paiono quasi “normali” nell’arbitrarietà che il potere sta disponendo nella capoluogo ligure.
Quando le tragedie repressive, l’omicidio di Carlo Giuliani, il massacro della Diaz e le torture di Bolzaneto saranno a poco a poco messe insieme dai tanti racconti dei testimoni pieni di lividi sul corpo e di ferite dentro la psiche, allora Agnoletto e Guadagnucci avranno molto più evidente il disegno eversivo, il chiaro disprezzo della Costituzione e dei diritti civili e umani perpetrato con una precisa volontà politica che ha per lungo tempo protetto, tutelato e anche premiato coloro che erano tra i maggiori responsabili dell’esecuzione di ordini che condividevano e che avevano messo in pratica con una brutalità inaudita.
Dopo oltre vent’anni, il tempo della memoria include quello della piena consapevolezza della gravità dei fatti di Genova e del G8. Non siamo davanti ad uno dei tanti “misteri” della Repubblica.
Siamo davanti ad una serie di eventi di cui sappiamo praticamente tutto, su cui le verità giudiziarie si sono accavallate, smentite fra loro e, in ultima istanza, hanno così prodotto ulteriore materiale di conferma della tendenza naturale del potere a proteggersi tramite il potere stesso, attivando un corto circuito in cui sedimentano e poi emergono le contraddizioni frutto di falsificazioni di atti scritti, le intercettazioni telefoniche e tutto quello che ha costituito materiale probante il tradimento nei confronti della Repubblica da parte delle più alte cariche che allora gestivano l’ordine pubblico e il governo del Paese.
Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci ci mettono a disposizione un racconto complicato ma non complesso, perché narrato mettendosi nei panni di uno spettatore degli eventi proprio a distanza di due lustri dalla morte di Carlo, dal ferimenti di centinaia di ragazze e ragazzi che erano scesi in piazza contro i grandi della Terra, per un pianeta dove fosse possibile una società altra rispetto a quella del capitalismo, dell’autoritarismo e della repressione.
Hanno avuto la dimostrazione che quel movimento, di cui possono essere orgogliosi di aver fatto parte, era motivo di timore e di apprensione per presidenti e governi, per padroni e finanzieri. Che si potesse mettere in piazza una alternativa all’ordine esistente, che questa alternativa potesse trovare un riscontro positivo, ampie simpatie tra i popoli di ogni nazione, era un pericolo maggiore di una caduta della borsa a Wall Street o di un rialzo dello spread in Europa.
Giustizia e verità per Genova, per Carlo, per tutti coloro che sono stati pestati a sangue nelle bolle repressive della Scuola Diaz o della caserma di Bolzaneto, non vanno chieste di meno col passare del tempo: ci sarà ancora per tanti anni una zona d’ombra sotto la quale sta qualche parola non detta, qualche pagina non scritta, qualche verbale nascosto. Sappiamo molto, quasi tutto. Ma dobbiamo continuare ad imparare che non va dato nulla per scontato: soprattutto quando diamo proprio per scontato di essere ormai certi che il diritto ci protegga, che la Costituzione sia imperturbabile nel suo stare a guardia di una democrazia che, se lo vuole il sistema economico, è pronta a trasformarsi nel contrario di sé stessa.
L’ECLISSE DELLA DEMOCRAZIA
VITTORIO AGNOLETTO, LORENZO GUADAGNUCCI
FELTRINELLI, 2011
€ 15,00
MARCO SFERINI
5 gennaio 2022