La cena de le ceneri

La volta celeste si illumina sopra la grande città che ormai è un chiaroscuro di tetti e anfratti, di lanterne accese, di candele che si consumano lentamente. Le fronde...

La volta celeste si illumina sopra la grande città che ormai è un chiaroscuro di tetti e anfratti, di lanterne accese, di candele che si consumano lentamente. Le fronde degli alberi si muovono piegate da un vento ancora gelido, mentre in una locanda si sentono strepiti e urla di giocatori.

Il sole è appena tramontato nel primo giorno di Quaresima. Passo dopo passo, un uomo si trascina per le vie di Londra, piene di terra umida, fangosa. Inciampa in qualche pozzanghera, discute con i battellieri del Tamigi e si attarda. Prosegue il suo cammino con più celerità: l’ora del convito è già passata, ma i commensali lo scuseranno. Porta con sé il suo sapere, la conoscenza che ha cumulato nel corso di una vita di vagabondaggio intellettuale, spirituale. A tratti religioso e a tratti laico.

Siamo nel 1584, in una Inghilterra che gli è rifugio dagli anatemi di una Chiesa cattolica che lo ha già messo sotto accusa varie volte, tanto da indurlo a trasferirsi dalla sua Nola in tante città d’Italia, della Francia e dell’Impero. Ha insegnato per lo più mnemonica nell’Europa dei papi e dei re. Ha scritto trattati sulla natura, sull’etica, di filosofia e di letteratura. E’ poliedrico ma anche molto rigoroso nel tracciare un filo conduttore ben preciso nello studio di tutti questi campi del sapere.

Il Nolano arriva finalmente al convito, siede a tavola ed inizia a parlare circondato da pedanti conservatori di schematismi intellettuali, da curiosi e anche semplicemente da chi ha solo interesse per il cibo che sta in tavola. L’atmosfera è leggera e greve al tempo stesso: si è tra amici, ma si disserta e si discute su temi che altrove manderebbero in prigione e, nel peggiore dei casi, alla morte.

C’è tutto un mondo là fuori che pensa che la Terra sia ferma al centro di un universo finito, dogmaticamente concepito come tale per sostenere l’antropocentrismo della Chiesa di Roma, per cui non può esistere altro essere vivente in cui Dio si sia compiaciuto così tanto come l’uomo. Questo mondo che sta fuori è convinto di sapere tutto e di conoscere praticamente ogni cosa: nessun’altra spiegazione è ragionevolmente possibile. L’aristotelismo la fa da padrone, la visione tolemaica del cosmo pure.

Se metti in dubbio questo architrave di pensiero, metti in dubbio automaticamente la discendenza prima del potere divino sul pianeta. Questa discendenza riguarda Roma, la Chiesa, il Papa. Se osi ritenere, dire e scrivere che forse ha ragione Copernico e che l’universo non è finito ma l’esatto contrario; che la conoscenza non è regolamentabile ma in continuo divenire e che, proprio per questo, è tremendamente affascinante come ricerca costante di un sempre differente grado di acquisizione di nuovo sapere e, quindi, di evoluzione dell’umanità… Ebbene, se fai tutto questo mal te ne coglie.

Il Nolano mette in chiaro che occorre sganciarsi dalle vecchie certezze granitiche di un’etica del sapere che nega la conoscenza ondulando tra lo scetticismo del “non possiamo sapere praticamente niente” e l’aristotelismo del “praticamente sappiamo già tutto“. Nel mezzo sta una fede che è aggrappata ai dogmi, alle verità inspiegabili che mantengono in vita un potere irriformabile, che non vuole aggiornarsi, che pretende invece di imporre l’infallibilità pontificia sopra ogni altra morale, sopra ogni altra critica della stessa, tacciando di eresia qualunque alternativa di pensiero osi contrapporsi agli insegnamenti della Chiesa.

Così come l’universo è infinito (o almeno infinitamente inconoscibile), altrettanto lo è il processo gnoseologico che si pone lo studio della conoscenza stessa: per Giordano Bruno si tratta di un percorso non tracciabile, perché invincolabile, sfuggente a qualunque tipo di schematicità, di regolamentazione. Il sapere è in divenire, è un panta rei della mente e dell’animo umano, è una espressione naturale di capacità intrinseche che abbiamo e che non sono essere rinchiusi dentro un cammino pretracciato.

La natura stessa procede per composizioni e scomposizioni che non seguono altre regole se non quelle dell’adattamento progressivo: degli esseri umani e degli animali al mondo che muta, delle leggi di una fisica che sono solamente osservabili ma non mutabili. Così il cosmo: nell’universo osservabile Bruno mette al centro il tutto e non l’essere umano soltanto. L’eliocentrismo copernicano gli pare poter spiegare molti altri fenomeni celesti e terreni, fisici e metafisici, capaci di essere meglio osservati tanto attraverso una esperienza empirica quanto con lo studio attento e l’applicazione delle conoscenze fino ad allora messe in fila nonostante l’oscurantismo clericale.

La sua lotta è per una liberazione del sapere dalle maglie del potere: principalmente quello della morale ecclesiastica che la fonte prima dei dogmi, veri e propri assassini della bellezza della conoscenza. Un moto continuo, irrefrenabile: un motore non aristotelicamente immobile, ma incessantemente attivo, produttore di nuovi stimoli, di nuovi aneliti frutto di dubbi e di riflessioni per menti aperte, raziocinanti e non per questo antitetiche a quella fede in Dio che Bruno conserva e che, ereticamente, non pensa affatto in contrapposizione alla scienza-conoscenza che ama con tutto sé stesso.

Proprio la consapevolezza della finitudine umana e delle sue enormi potenzialità nell’indagare il mistero dell’universo e dell’esistente, è lo scopo della vita del Nolano. Sapere non per sapere, ma per oltrepassare il sapere stesso, per lasciarsi dietro l’epoca dei poteri fermentati putridamente sulle verità incontestabili emanate da Dio e fare dell’interrogazione di sé stesso non un autoreferenziale riproposizione di un essere umano privo di volontà, totalmente affidato a quella altrui, ma elevarsi sopra queste miserie della filosofia.

La cena de le ceneri” è, in sintesi, un po’ tutto questo: l’indagine senza sosta e, soprattutto, l’invito all’indagine in questo senso. Mai fermarsi, mai pensare di essere arrivati alla verità e alla “fine della conoscenza“. Non esiste una fine, ma solo un fine del sapere: sottrarre al dubbio qualche segmento geometrico di spazio in un campo visivo limitato dai preconcetti umani, figli di una mente fatta di confini e non di infinitudine.

Ma senza mortificare il dubbio, permettendogli (e quindi consentendoci) di affiancare le certezze e di rimettere queste stesse in discussione, perché l’assoluto è il contrario esatto di quel relativo che ci sta intorno e che ci costringe a cambiare opinione, a non intestardirci davanti ad evidenze che sconfiggono credenze millenarie frutto solamente di una ignoranza cumulatasi nei secoli e, spesso, incolpevole proprio perché addizione di tante altre buone fedi e appiattimenti intellettuali.

Come è evidente, alla Chiesa della fine del ‘500 non poteva piacere un frate domenicano che andava in giro ad insegnare la coltivazione della ragione e del pensiero fuori dall’impianto teologico e teleologico del papato. Giordano Bruno piace poco anche ai riformatori, a quei protestanti elvetici che lo mettono sotto accusa quando polemizza a Ginevra con un insegnante di filosofia. Nonostante abbia aderito alla Riforma, viene arrestato e privato del suo nuovo status ecclesiale. E infine cacciato dalla Confederazione elvetica.

Non ha una patria e nemmeno una casa religiosa in cui poter essere liberamente sé stesso: libertà e dogmi non si conciliano. Né con Dio e tanto meno con gli Stati monarchici assoluti che dicono di essere interpreti della volontà del padre celeste.

La solitudine di Giordano Bruno è grande nel suo tempo, ma la sua fama è e rimane grande nei secoli che sono venuti dopo la sua morte sul rogo in Campo de’ Fiori a Roma. La paura che ha messo a sovrani, scuole, università, vescovi, cardinali e pontefici è la condanna che la Storia ha scritto proprio contro coloro che hanno tentato di farlo dimenticare, di far finta che non fosse forse mai esistito.

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Si segnala inoltre l’edizione negli “Aquarelli” Demetra (Bompiani) del 1995 (“La cena de le ceneri, l’uomo proiettato nell’universo“) con la prefazione di Marcella Vasconi.

MARCO SFERINI

29 dicembre 2021

foto: particolare della copertina del libro

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