Il Truman Show della politica estera italiana

La politica estera italiana è un Truman show, dove non c’è nulla di vero e siamo stati tutti adottati da un’emittente televisiva. Bastava ascoltare i discorsi in diretta tv...

La politica estera italiana è un Truman show, dove non c’è nulla di vero e siamo stati tutti adottati da un’emittente televisiva. Bastava ascoltare i discorsi in diretta tv del presidente del Consiglio Draghi e del ministro degli esteri Di Maio al Med, secondo i quali l’Italia si «batte per i diritti umani» del Mediterraneo.

Due giocolieri, neppure troppo abili, che in due ore di sproloqui riescono a non pronunciare mai i nomi di Giulio Regeni, di Patrick Zaki e di Al Sisi. I loro flessibili consiglieri dicono che lo fanno per non irritare ulteriormente il generale egiziano che già di malavoglia tollera la presenza degli avvocati al processo Zaki, di cui sapremo la sorte in queste ore.

Quale delicatezza per il macellaio golpista del Cairo, che tiene in carcere e ammazza gli oppositori.

L’Italia si batte così a bassa voce e in maniera talmente generica per i diritti umani perché in realtà è un Paese dalla coscienza sporca assai. All’Egitto vendiamo miliardi di euro di armamenti, quindi non bisogna disturbare il manovratore anche quando insulta le nostre istituzioni, dalla magistratura al Parlamento. Come se difendere i diritti umani precludesse dal fare affari: è difendendoli che ci si fa valere come interlocutori, ribadendo i propri ideali, posto che ne siano rimasti.

Ma subito dopo dai discorsi di Draghi e Di Maio capiamo perché la nostra politica estera è così vaga. I due ribadiscono che per la Palestina sono favorevoli alla soluzione «due popoli, due Stati».

Benissimo. Soltanto che si tratta di una formula arcaica visto che negli ultimi vent’anni gli insediamenti hanno ridotto il territorio dei palestinesi a dei bantustan che impediscono qualsiasi continuità territoriale a un eventuale Stato palestinese. Senza contare che gli Stati uniti con Trump hanno riconosciuto la sovranità israeliana sulla contesa Gerusalemme e sul Golan che farebbe parte della Siria. Il tutto contro ogni risoluzione delle Nazioni unite.

Ma degli insediamenti ebraici Draghi e Di Maio non parlano, come se fossero dettagli. L’ultimo boccone fagocitato da Israele è l’aereoporto arabo di Qalandiya a nord di Gerusalemme dove sorgeranno 9mila alloggi per gli israeliani. Come segnala Michele Giorgio sul manifesto, nelle scorse settimane 12 Stati europei, tra i quali l’Italia, avevano condannato la colonizzazione e ribadito lo status internazionale di Gerusalemme sancito dall’Onu.

Alle prese di posizione però non seguono mai passi concreti e l’Italia, soprattutto, non ha mai il coraggio di farlo per conto suo. Non sia mai che il governo di Tel Aviv si irriti come Al Sisi: anche agli israeliani vendiamo armi a tutto spiano.

Così aspettiamo che la Palestina, in agonia, muoia per conto suo, altro che due popoli e due Stati. Quando la politica estera italiana e anche noi ci sveglieremo dal Truman Show non ci sarà più e come il protagonista del film di Peter Weir potremo dire ai palestinesi la battuta tormentone del protagonista: «Casomai non vi rivedessi… buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!». Forse ormai solo la satira ci può salvare ma è l’arma cui ricorrono i popoli prigionieri.

Bisogna dire che nello sforzo diuturno per non avere una politica estera ci scegliamo gli alleati ideali per giustificare anche i nostri comportamenti. L’ultimo è Macron che con l’Italia ha firmato lo strombazzato Trattato del Quirinale con cui, secondo la nostra diplomazia, dovremmo seppellire il vulnus della Libia, quando i francesi decisero nel 2011 di bombardare in buona compagnia con la Nato, Gheddafi, il nostro maggiore alleato nel Mediterraneo, per portarsi via la Libia.

Perché Macron oggi è il nostro alleato ideale? Viviamo in un’epoca in cui un leader può ordinare di fare a pezzi un giornalista, Jamal Khashoggi, e restare comunque un interlocutore accettabile. E così Macron è andato in Arabia Saudita a incontrare Mohammed bin Salman, il mandante dell’assassinio di Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018. Eppure la stessa Cia aveva stabilito che il principe è un assassino: naturalmente senza che questo avesse alcuna conseguenza. Anzi. Si continua a fare affari con lui e a vendergli armi.

E per non farsi mancare nulla Macron, durante la sua visita nel Golfo, ha piazzato 90 caccia Rafale agli Emirati che avevano appena ottenuto le dimissioni in Libano del ministro dell’informazione libanese Kordahi, critico dei bombardamenti, da parte di emiratini e sauditi, contro i civili e gli Houthi in Yemen.

Qual è la lezione che possiamo trarre da quanto avviene in Egitto e nel Golfo?

La prima è che l’impunità trionfa e stiamo sotterrando davanti alle vite di Regeni, Khashoggi e Zaki (speriamo di no, speriamo almeno per lui una soluzione positiva) l’idea di giustizia.

La seconda è che gli alleati degli Usa e dell’Occidente possono assassinare chiunque – un ricercatore, un giornalista, un dissidente – senza pagare dazio, anzi li lasciamo prosperare.

E poi vorremo chiedere il conto dei diritti umani a Putin, a Xi Jinping e ad altre dozzine di autocrati e golpisti?

ALBERTO NEGRI

da il manifesto.it

foto: screenshot

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