Non è peggio, ma sembra esserlo: il chiedere scusa, il ridimensionare quel gesto, farne una sorta di estemporaneità comportamentale, come se una violenza fisica fosse riconducibile ad un ambito altro, ad una goliardia compresa nel momento sportivo che diventa un luogo privo di qualunque controllo.
Se è così è veramente peggio, ed oltre a sembrare d’esserlo, è probabile che lo sia per davvero.
Non c’è bisogno che una violenza fisica sia per forza materialmente penetrativa del corpo altrui: basta, purtroppo, anche “semplicemente” (le virgolette necessitano e vanno debitamente sentite nella lettura presente) uno sguardo apparentemente immateriale, intangibile e inafferrabile; basta una protesi minimale, quella del dito di una mano o, per l’appunto, una mano stessa che porti alla donna tutto il portato di un istinto prevaricatore che invade la sfera personale e quindi viola chi ne è oggetto.
Dare una pacca sul sedere di una persona con cui non c’è un rapporto amichevole, con cui non si è creata una situazione di complicità tale da poter vedere in ciò un vero e proprio atto scherzoso, è violenza. E bisogna smetterla di tentare la via dei giustificazionismi o dei riduzionismi, provando a “comprendere” chi si è “spinto oltre“, perché molto semplicemente, non ci si deve proprio spingere e nemmeno oltre.
Il pentimento è contemplabile solo ai fini della speranza di ottenere qualche sconticino di pena da parte del giudice. Per il resto deve essere la società, dobbiamo essere tutte e tutti noi a non abbassare l’asticella dello stigma.
(m.s.)
30 novembre 2021
foto: screenshot