Non più soltanto una lotta ecologista…

La lotta è giusta, perché muove da una presa di coscienza altrettanto nobile e doverosa. La lotta è ritmo, scandito dagli slogan dei giovani studenti, è corteo, è manifestazione,...

La lotta è giusta, perché muove da una presa di coscienza altrettanto nobile e doverosa. La lotta è ritmo, scandito dagli slogan dei giovani studenti, è corteo, è manifestazione, è striscioni e cartelloni su cui campeggiano bellissimi inni alla rivolta sociale: “No alla scuola dei padroni“.

Pare di ascoltare una canzone di Paolo Pietrangeli o di fare un viaggio indietro nel tempo, ancora di più, e ritrovarsi in mezzo ai tafferugli delle agitazioni assembleari e di piazza del biennio 1968-69 e, di lì a poco, negli anni ’70, quelli del rumore metallico, delle bombe, delle pistole, del fragore di uccisioni che poco o niente c’entravano con la rivolta e il cambiamento, che tanto hanno dato invece ai tentavi di sovvertire la democrazia, di dichiararla apertamente in pericolo.

La lotta dei giovani che a Roma sfilano tra i filari di alberi che li abbracciano col verde minacciato dalle tante emissioni inquinanati, è la parte giusta. Fuori dalla nuvola di Fuksas che ospita il rendez-vous dei venti grandi paesi, quelli più ricchi, più influenti sulla scena del mercato mondiale, della geopolitica mutante e mutevole dove ogni schermaglia viene giocata sulla pelle di miliardi di persone, di un intero eco-sistema fatto di esseri viventi maltrattati, sterminati, così come di una natura vilipesa, defraudata del suo diritto regolatore della vita universale.

La lotta dei giovani che a Roma passano per le vie e provano a sensibilizzare la pubblica opinione su tutti i rischi che corriamo da tempo, per i quali il capitalismo non ha e non può avere alcuna soluzione a lungo termine (ma nemmeno a breve), forse è un po’ ingenua perché pretende di domandare alla politica di cambiare, al potere di riformarsi e al sistema di autodistruggersi nel nome della sopravvivenza di una nuova umanità aliena dal profitto, dalla produzione compulsiva delle merci, dall’accumulazione dei capitali, dallo sfruttamento del lavoro materiale, intellettuale, di ogni ambito sociale, di ogni civiltà radicata o emergente, di ogni settore della cultura, della scienza e dell’informazione.

Forse i ragazzi sono un po’ ingenui, ma non sono dei sempliciotti, dei sognatori: sono dei concretissimi utopisti che legano la speranza alla presenza attiva e fattiva, all’impegno in prima persona e lo scrivono sui loro cartelli con grande sagacia. Colorano le loro frasi di arcobaleno, lo stesso che simboleggia le lotte per i diritti civili, per cui non esiste una lotta soltanto, separabile dal contesto, ma tutto si permea, si simbiotizza, si unifica nella diversità che assume qui il suo ruolo più straordinario: la molteplicità è specificità singola ma unificante.

Come le lotte anticapitaliste che, a loro volta, dovrebbero comprendere il più elevato stadio evolutivo di ogni critica nei confronti delle storture di un sistema che è “la contraddizione” per antonomasia, perché ancora oggi pretende di far convivere la più dura legge sulle diseguaglianze, la forbice che si allarga a dismisura tra concentrazione della ricchezza in mano di pochissimi ed espansione della povertà per più di sette miliardi di individui umani, con una arrogante assunzione di naturalità nell’essere l’unica strutturazione economica capace di soddisfare i bisogni di oltre sette miliardi di persone.

I giovani che stanno sfilando per le vie della capitale tutto questo lo hanno capito; almeno l’hanno sicuramente intuito e percepito e traducono la loro rabbia verso le diseguaglianze antisociali e antiecologiche con una espressione che mette da parte l’antropocentrismo spocchioso del liberismo per porre l’essere umano nuovamente nella natura, per fargli esprimere la sua essenza più propria: quella dell’essere sociale indistinguibile dal resto del pianeta e che, pertanto, non può arrogarsi nessun diritto di primazia su altri esseri viventi e su un ambiente che, soltanto nel corso degli ultimi tre secoli, con una accelerazione impressionate dalla fine dell’800 ad oggi, è stato così tanto devastato come non mai nella breve storia del genere umano.

Noi siamo la natura che si difende e che si ribella“, scrivono i ragazzi e le ragazze. La ribellione e la naturalità dell’esistenza in una stessa frase sono già, di per sé, un manifesto ecologista, un atto di grande cultura politica, un controcanto etico, civico e civile che si contrappone all’ipocrisia del G20, alle tante promesse che la politica istituzionale, quella dei governi a guardia del liberismo dominante. Questi grandi titani controllano l’80% della ricchezza prodotta nel mondo ed emettono oltre il 75% dell’inquinamento giornaliero, che è una rilevante parte del problema ambientale e, quindi, la sostanziale minaccia all’esistenza di ogni forma di vita sulla Terra.

Impossibile non prendersela e non protestare contro questi potentissimi 20 Stati che sembrano controllare la vita sul pianeta: ma, avrebbe detto Dante, «Qui si convien lasciare ogne sospetto, / ogne viltà convien che qui sia morta», perché non bisogna avere il timore di dire che non basta denunciare le malefatte dei governi ma che, invece, il problema è ben più ampio, vasto e, marxianamente parlando, “strutturale“. Qui la sta vera illusione, nel ritenere che la mera protesta contro i governi, sollecitati a cambiare virtuosamente cammino, a rivedere le politiche di intervento sulla transizione ecologica, sia l’indirizzo giusto da seguire per invertire la rotta.

Prima di tutto bisogna rendersi conto che senza l’anticapitalismo, ogni battaglia ecologista rischia di essere molto fine a sé stessa, perché manca quella visione di insieme che va alla radice del problema, che individua nella questione economico-sociale il tema da sviscerare, rifuggendo dalla tentazione di pensare che tutto si possa ridurre ad una mera, seppure grande, protesta globale che metta in discussione “soltanto” la questione ambientale. Bisogna passare dall’ecologismo all’ecosocialismo, unificando il diritto alla vita di ogni essere vivente al diritto all’esistenza dignitosa, libera ed uguale per ogni essere umano.

Quando gli studenti sfilano per le vie di Roma, contro un sistema che sentono ingiusto, mostrano di saper definire molto bene i contorni di una questione che comprende diritti sociali, civili, umani, ambiente, animali e natura generalmente intesa. Le loro parole d’ordine non sono soltanto rivolte ai grandi Stati del pianeta, ma a noi tutti, affinché ci si renda conto del pericolo che stiamo correndo e che uniforma, appiattisce, riduce ogni differenza annichilendo le particolarità di una complessità della vita che deve essere preservata. Tutta quanta.

Gli studenti sfilano e protestano per avere quella vita per loro e per gli altri: per una scuola che non sia dottrina confindustriale ma libera acquisizione del sapere, per una piena disponibilità dei loro corpi e dei loro intelletti, per quella dignità che è sia personale sia collettiva e che si realizza nel godimento di ogni diritto, in ogni parte del mondo.

Un mondo così diverso da quello attuale, dal mondo del capitale. Un altro mondo, che ancora è possibile, ma è soprattutto necessario.

MARCO SFERINI

30 ottobre 2021

foto: screenshot

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