Tutto come previsto. Sulle pensioni vince Salvini e perde il sindacato che rompe per la prima volta con il governo Draghi e deciderà sabato – dopo l’approvazione formale della legge di Bilancio – quale forma di mobilitazione attuare, senza attendere una nuova convocazione per oggi come erroneamente dichiarato dall’ufficio stampa di palazzo Chigi.
Si torna alla Fornero con uno «scalino» per i 10 mila (pochissimi) che potevano usare Quota 100 nel 2022. Allargata leggermente l’Ape social e prolungata Opzione donna, entrambe solo per l’anno prossimo.
L’incontro fra governo e confederali non ha avuto sorprese e ha certificato le distanze tra le parti. Mario Draghi, quasi silente durante la discussione, ha lasciato il tavolo dopo due ore – con la motivazione diplomatica di «un impegno» – commentando che «si aspettava un’altra accoglienza» alle piccole concessioni fatte dal governo. Evidentemente credeva che Cgil, Cisl e Uil si rimangiassero la loro piattaforma nel clima da «governo di emergenza in pandemia».
La richiesta di una modifica strutturale della riforma Fornero fatta da Landini non ha sortito alcun effetto. Draghi praticamente non ha parlato, lasciando al ministro Daniele Franco il compito di spiegare come non ci fossero le condizioni di bilancio per una modifica di quello che il governo ha chiamato «regime ordinario». La posta di bilancio rimane immutata: 611 milioni per il 2022 che calano nel 2023 e 2024 per un totale trienale di 1,5 miliardi: una cifra incompatibile con qualsiasi riforma. Dal primo gennaio dunque per la quasi totalità dei pensionandi e dei lavoratori si torna alla riforma Fornero: età pensionabile a 67 anni per uomini e donne, nessuna flessibilità in uscita, nessuna copertura dei buchi contributivi dei precari, niente «pensione di garanzia».
Il compromesso politico lo aveva già spiegato Salvini in mattinata: «L’intervento deve durare un anno poi si andrà a votare e gli italiani sceglieranno quale sistema pensionistico vogliono, se vince la Lega finalmente il nuovo governo potrà cambiare la Fornero», dimenticandosi in malafede che nel 2018 aveva già promesso di cancellarla senza riuscirci. E comunque l’obiettivo della Lega rimane un’altra quota, Quota 41: mandare in pensione chi arriva a questi anni di contributi a prescindere dall’età . Un obiettivo risibile visto che il problema principale del sistema attuale è la discontinuità contributiva di donne e precari che quella «quota» non la raggiungeranno mai.
Il PD allo stesso modo si sente vincitore rivendicando di aver ottenuto la proroga di Opzione donna, lo strumento che nel 2020 ha mandato in pensione solo 14 mila lavoratrici – il 2% delle pensionate donne – con un taglio definitivo dell’assegno del 30% a causa del ricalcolo totalmente contributivo.
Sull’estensione dell’Ape sociale – l’anticipo pensionistico dai 62 anni – ad alcune categorie bisognerà leggere attentamente i testi: finora ha fallito il suo obiettivo visto che i paletti fissati dalla Ragioneria dello stato – 36 anni di contributi e 7 anni di lavoro notturno o usurante negli ultimi 10 – hanno reso impossibile l’utilizzo da parte delle mansioni più gravose a partire dagli edili.
Il primo a uscire da palazzo Chigi e commentare è leader Uil Pierpaolo Bombardieri: «L’incontro non è andato bene, sulle pensioni ci sono solo 600 milioni, non ci sono risposte sulla riforma complessiva necessaria. Il sindacato valuterà nei prossimi giorni forme e strumenti di mobilitazione per fare scelte adeguate».
«Si apre una fase di mobilitazione a sostegno delle nostre proposte», gli fa eco Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl.
A chiudere, il segretario Cgil Maurizio Landini: «È stato un confronto molto franco – esordisce – . Se giovedì il governo confermerà questa impostazione nei prossimi giorni valuteremo iniziative unitarie di mobilitazione», senza escludere lo sciopero generale. «È chiaro quello che ci siamo detti stasera, nessuno può dire che non ha capito», ha detto. «Se poi vorranno confrontarsi con noi siamo pronti a farlo giorno e notte, ma se non dovesse avvenire valuteremo quello che il governo fa e decideremo le iniziative di mobilitazione più adatte».
MASSIMO FRANCHI
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