«Non ne conosco la matrice». Con queste parole il capo del governo fascista Benito Mussolini commentò, tre giorni dopo i fatti, il rapimento e l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti.
«Non ne conosco la matrice». Con queste stesse parole Giorgia Meloni, a capo del partito con la fiamma tricolore nel simbolo, ha commentato l’azione squadrista contro la Cgil del 9 ottobre scorso.
Se l’emersione del fascismo all’alba del ‘900 ha rappresentato per l’Italia ed il mondo la più grande delle tragedie non è affatto lecito pensare che la riemersione postfascista di oggi possa essere derubricata a farsa.
Mentre sotto guida neofascista una parte (niente affatto marginale) del corteo cosiddetto «no green pass» assaltava la sede del più grande e antico sindacato d’Italia, Meloni era in Spagna ospite d’onore della manifestazione del partito d’estrema destra Vox e si collocava simbolicamente e fisicamente nel campo politico filo-franchista. Ultimo insulto alla memoria delle migliaia di italiani che partirono volontari e morirono per difendere la Repubblica spagnola dal golpe di Francisco Franco. Ultimo omaggio implicito alle truppe fasciste inviate da Mussolini a sostegno del caudillo e comandate da Mario Roatta, capo del SIM al tempo dell’assassinio dei fratelli Rosselli e criminale di guerra in Jugoslavia nella Seconda Guerra Mondiale.
È in quella storia che affondano «le radici profonde che non gelano» come usano ricordare i fascisti di oggi immortalati nei saluti romani nell’aula comunale a Cogoleto (tre consiglieri) o nell’inchiesta giornalistica di Fanpage (il capo delegazione al Parlamento europeo di Fratelli d’Italia e una neoeletta consigliera a Milano) oppure colti in cene celebrative della marcia su Roma (il presidente della regione Marche e il sindaco di Ascoli Piceno); in apogei della X flottiglia Mas del golpista Junio Borghese (un consigliere comunale della maggioranza a Siena dove il comune vuole imporre nelle scuole la «sua» storia delle foibe); in foto dove si disconosce il 25 aprile come Liberazione (una parente di Mussolini neoeletta al comune di Roma).
Almeno di queste figure del suo partito Meloni dovrebbe conoscere la matrice. La questione della destra in Italia è una contraddizione intrinseca al rapporto tra società nazionale e democrazia repubblicana ed è sempre rimasto un nodo non sciolto fin dalla nascita del Msi.
Una realtà rappresentata dal riferimento storico degli eredi missini ovvero quel Giorgio Almirante già segretario di redazione de «La difesa della razza» durante il regime e poi fedele collaborazionista dei nazisti a Salò. L’Almirante immortalato alla guida di un folto gruppo di squadristi sulle scalinate dell’università di Roma nel marzo 1968 in attesa di assalire gli studenti; quello che il 25 maggio 1970 in una tribuna elettorale della Rai-Tv auspicava un colpo di Stato in stile greco «per salvare» l’Italia dai comunisti; quello stesso Almirante amnistiato per il reato di favoreggiamento di Carlo Ciccutini responsabile della strage di Peteano del 31 maggio 1972 (tre carabinieri uccisi e due feriti).
È stata questa storia (ricolma di tante altre vicende del genere) a porre fuori dall’arco costituzionale la destra fino al 1994 ed a questo principio di realtà ha fatto correttamente riferimento il deputato Giuseppe Provenzano, al netto delle strumentalizzazioni che hanno tentato di confondere questo ragionamento con le urla circa un presunto tentativo di messa fuorilegge dei fratelli d’Italia.
In queste ore lo stravolgimento della grammatica pubblica e del senso della storia è proseguito con il goffo tentativo di recupero di formule del passato evidentemente assai mal studiate. Da un lato la riedizione della teoria degli «opposti estremismi» come anticamera dell’equiparazione tra fascismo e antifascismo e, dunque, come leva di rottura del portato valoriale costituzionale. Dall’altro la dichiarazione di Meloni (nell’aula del Parlamento) circa l’esistenza di un complotto, anzi precisamente di una «strategia della tensione» ordita contro la destra.
Così la formula giornalistica che dal 1969 al 1980 ha indicato gli anni delle stragi neofasciste consumatesi in Italia nelle piazze, sui treni, nelle banche e nelle stazioni viene usata (ultimo dileggio alle vittime di quegli eccidi di massa) per trarsi d’impaccio di fronte al raid squadrista contro la Cgil realizzato da altri camerati non certo sconosciuti.
Una strategia della tensione nel Paese invero c’è stata. Protagonista di quella stagione tragica fu, tra gli altri, il gruppo Ordine Nuovo responsabile della strage di Piazza Fontana e poi sciolto nel 1973. Quel gruppo neofascista era stato fondato da Pino Rauti. La figlia oggi è deputata di Fratelli d’Italia. Per conoscere quella ed altre matrici rivolgersi da quelle parti.
DAVIDE CONTI
15 ottobre 2021
foto: screenshot