Non è possibile parlare o scrivere di Karl Marx senza associarlo al “Manifesto del Partito comunista” o a “Il capitale“, così come non è possibile parlare di uno dei suoi più grandi e intransigenti rivali senza citare “Stato e anarchia“. Michail Aleksandrovič Bakunin lo scrisse nel 1873 e lo mandarono alle stampe alcuni giovani libertari che ne tirarono poco più di un migliaio di copie.
Quello che viene considerato il testo fondante del moderno anarchismo è un insieme caotico e disordinato di appunti che, tuttavia, grazie al lavoro soprattutto dei suoi improvvisati editori segue una linea temporale nella descrizione di fatti allora attuali. Perché “Stato e anarchia” è prima di tutto un resoconto critico dei suoi tempi: Bakunin estrinseca i fatti, li corrobora con molte chiose, ne vellica le contraddizioni e cerca di offrire come soluzione quella che chiama “rivoluzione sociale“, contrapponendola all’analisi marxista della società che parte dalla struttura economica per arrivare poi alla decostruzione della sovrastruttura statale.
Il Moro lesse più volte l’opera di Bakunin e la demolì pezzetto per pezzetto. Siccome entrambi avevano dei caratteri piuttosto focosi, si può dire con una certa base di contezza che questa fu l’occasione migliore offerta a Marx per mostrare in tutta evidenza le enormi differenze che segnavano il confine tra comunismo e anarchismo.
Mentre Bakunin e gli anarchici chiamano indistintamente tutto il popolo alla rivolta sociale, facendone muovere le azioni da istintività e volontarismo, Marx e i comunisti evidenziano il carattere classista della sollevazione anticapitalista: la lotta per il superamento del sistema dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo non può appartenere alla coscienza soltanto, e tanto meno di tutti, perché è interesse prima di tutto (e di tutti) del proletariato, ossia della grande massa di lavoratori salariati che hanno il diritto sociale e il dovere rivoluzionario di liberare tutta l’umanità dall’oppressione capitalista
Per Bakunin la rivoluzione è diretta contro lo Stato. Per Marx contro il capitale, contro la borghesia padronale, contro la proprietà privata dei mezzi di produzione. Per Bakunin il potere deve essere annichilito mentre si svolge il processo rivoluzionario; per Marx deve essere acquisito dal proletariato per trasformarlo in quella insensatezza che sarà tale nel momento in cui le classi sociali saranno superate e lo Stato non sarà quindi più il “comitato di affari” dell’economia dominante.
Leggere “Stato e anarchia” non è soltanto utile per entrare a tutto tondo nella seconda metà di ‘800 rivoluzionario e in fibrillazione sociale, ma è prima di tutto un modo per avere ben chiare le differenti strategie messe in campo dai movimenti internazionali dei lavoratori che, proprio mentre Bakunin scrive l’unica opera completa della sua vita, prendono corpo e si strutturano a partire dalle relazioni tra i lavoratori francesi e inglesi che si battono per unificare le lotte, per avere una visione planetaria della “contraddizione” massima, del nemico di classe.
Marx fu spietato nei confronti dell’opera dell’anarchico russo: «Asinerie da scolaretto!», fu una delle definizioni più garbate che mal celavano un eufemismo che non si voleva nemmeno troppo ricercare.
Il grande lavoro scientifico fatto dal filosofo ed economista tedesco, effettivamente non è nemmeno paragonabile all’improvvisazione emotiva di Bakunin, di cui va apprezzato lo sforzo intellettuale nell’analizzare le contorsioni sociali ed antisociali dei tempi, ma di cui non va taciuta tutta l’inadeguatezza ad individuare un metodo di fuoriuscita dal sistema capitalistico che si fondi non sulla volontà del popolo ma sulla necessità di una attualità che deve aprire le porte ad un futuro irreversibile rispetto al presente.
La grande disputa, la controversia delle controversie tra anarchismo e comunismo è irriducibile soltanto al testo di Bakunin, ma è fuori di dubbio che sia ampiamente esaltata, perché è proprio l’anarchico russo ad esprimersi senza reticenze contro il marxismo che considera pedante, che giudica miope nella mancata individuazione del pericolo del potere che non è mai buono e che, quindi, andrebbe dal proletariato scansato e fuggito come si scansa e si fugge da un pericolo mortale.
La critica che Marx ci offre nelle sue opere sui rapporti tra Stato ed economia, tra Stato e classe, tra Stato e rivoluzione, nonché tra Stato e borghesia, non flette verso una accettazione incondizionata del potere. L’errore di Bakunin, e degli anarchici in generale, è la subordinazione della lotta contro i rapporti di forza tra le classi ai rapporti di forza della classe degli sfruttati contro lo Stato.
Bakunin non nega nessuna analisi marxiana sulla struttura capitalistica, sulla sua dinamicità, sulle sue crisi cicliche. Vede tutte le difformità che interessano il sistema che si avvia velocemente alla globalizzazione in cui viviamo oggi sopravvivendo. Ma la sua è una lotta contro gli effetti e non contro le cause: lo Stato è il prodotto della volontà della classe dominante e quindi dell’economia che gestisce, direttamente o indirettamente, ogni rapporto sociale ed individuale.
Leggere oggi “Stato e anarchia” è davvero importante: può affascinare il grande slancio libertario, l’empatia politica e rivoluzionaria che fuoriesce dalla pagine vergate da Bakunin, ma deve far riflettere il grande scontro tra questi due giganti della storia del pensiero e dell’azione politica e sociale. Karl e Michail. Potrebbe essere il titolo per una bella serie televisiva o per un film… Magari dopo “Il giovane Karl Marx“…
STATO E ANARCHIA
MICHAIL A. BAKUNIN, UNIVERSALE ECONOMICA FELTRINELLI
€ 7,00
MARCO SFERINI
13 ottobre 2021