In una ottica completamente liberista, circa un anno e mezzo fa, Mario Draghi enunciava i princìpi strettamente economici su cui si fondava l’evidente rapporto negativo tra aumento della precarietà e discesa conseguente della produttività delle aziende.
Oggi, il governo da lui presieduto, mette mano al Decreto Sostegni (bis) e lo fa contraddicendo in tutto e per tutto quell’assunto di macroeconomia: la cancellazione del limite di impiego dei lavoratori precari in nuovi lavori precari, eludendo anche la deroga precedentemente stabilita dal governo Conte due, è parte di quella vittoria «che Confindustria rivendica da lungo tempo» come sottolineato nei commentari de “Il Sole 24 ore“.
Quelle introdotte dal precedente governo erano misure correttive davvero minimali, di semplici freni ad un dilagare di una condizione lavorativa pre-pandemica fondata su un abuso (del resto affatto nuovo) della precarietà come condizione essenziale dei padroni per investire, per produrre, per fare profitti provando ad eludere il più possibile vincoli legislativi che – occorre parlare ormai al passato – erano tutele fondamentali per il mondo del lavoro.
Draghi smentisce sé stesso e, al contempo, il ministro Orlando porta avanti una politica che non coniuga occupazione e stato-sociale, che non trova il suo baricentro nella riproposizione necessaria, soprattutto in questo biennio pandemico, di contratti nazionali a tempo indeterminato, di maggiori responsabilità per l’imprenditoria, di assunzioni di rischi che non ricadano esclusivamente sui lavoratori, ma pure sulla controparte padronale.
L’intervento sul Decreto Sostegni (bis), oltretutto, recepisce degli emendamenti peggiorativi proposti dal Partito Democratico che fanno il paio con quelli presentati dal fronte delle destre (Lega, FI, FdI) e che, in sintesi, affermano il prolungamento del rapporto di lavoro a termine e precario senza l’onere da parte delle imprese di definire il tutto con una causale specifica. Nessuna motivazione, nessuna giustificazione legale: soltanto un accordo con i sindacati che assume le fattezze di un formalismo all’acqua di rose in sostituzione di una sostanziale regola che definisca precisamente le ragioni dell’estensione di un diritto allo sfruttamento piuttosto che di un diritto vero e proprio.
Il PD mostra qui tutta la sua anima economico-politica di forza che, entro i presuntuosi confini di un centrosinistra altrettanto tale, capace dei più trasformistici giri di valzer, sostiene convintamente i presupposti fondamentali di una azione di governo tutta improntata alle ragioni del mercato, facendo dei lavoratori una variabile da esso dipendente. E’ un ruolo di classe ben preciso, che – in questo determinato contesto – smentisce la teoria del “meno peggio” e dell’alternanza tra destre e centrosinistra.
Caso mai vi fosse bisogno di una ulteriore dimostrazione di ciò, basta scorrere l’elenco degli emendamenti appena citati e si trova che, tra gli altri, uno di quelli maggiormente impattanti per lavoratrici e lavoratori è un altro scritto proprio da deputati e senatori del PD e che, manco a dirlo, piace immensamente a Viale dell’Astronomia. Si tratta di una norma che prevede la possibilità per impresa e maestranze di firmare contratti a termine anche con lavoratori che siano stati già impiegati in quel modo per due anni.
In precedenza, un governo come quello (a questo punto definibile “liberista moderato“) di Conte aveva almeno posto un limite oltre la deroga già citata. L’improntitudine democratico-draghiana, nel contesto della maggioranza di “unità nazionale“, è l’asse portante che si allarga alle forze conservatrici e definisce una diga contro i diritti dei lavoratori. Li ridimensiona, li comprime nel nome della necessità di una “ripresa” nel dopo-Covid: un alibi davvero molto penoso e ipocrita, soprattutto per la motivazione che pretenderebbe di mantenere come sostegno a sé stesso e come punto di ripartenza di un attacco ai diritti del mondo del lavoro che Confindustria applaude sperticatamente.
Qualunque cenno ad un sincretismo tra pubblico e privato, tra interesse sociale e interesse dell’imprenditoria è del tutto fuori luogo: soprattutto se si agita lo spauracchio della quarta ondata autunnale (o quinta, se pensiamo di essere ora proprio nella quarta ripresa della curva dei contagi e nella eguale risalita dell’indice RT), della stagnazione economica ingestibile se non con sgravi fiscali e incentivi alle sole imprese… Una visione non miope, anzi, molto lucida per un partito ed un banchiere che, partiti da storie differenti, sono arrivati alla stessa conclusione: servire la causa del profitto, dei privilegi e del temperamento degli eccessi capitalistici.
Di critica sociale nell’attualità della politica italiana, almeno di quella entro il perimetro delle istituzioni repubblicane, ve ne è davvero poca. Molto, molto poca. L’estate anomala, piovosa, calda e umidissima, sgretola le ossa dei lavoratori, ne intacca le poche certezze, mentre fino alla fine del 2022 i padroni potranno avere la sicurezza di un controbilanciamento tra oneri e utili. Pochi i primi, molti i secondi, grazie allo Stato, al governo e alla maggioranza del “tutti insieme appassionatamente“.
MARCO SFERINI
6 agosto 2021
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