Esistere, resistere e insistere. Ormai lo vado scrivendo questo trittico da fin troppo tempo. Ma si autoproclama da solo, si rinnova di volta in volta perché c’è sempre un motivo per continuare ad essere comunisti, per resistere alle tentazioni di non esserlo più, di farsi sedurre dal moderno mondo liberista, dal potere, da tante incursioni nella coscienza che chiedono di obbedire di più alle norme, alla Legge, al potente di turno; ed insistere, sì: perché non darsi per vinti vuol proprio dire questo.
Non condannarsi alla sconfitta ma cercare, fin dove è concretamente possibile tanto politicamente quanto razionalmente, di far progredire una visione alternativa di società che guardi alla liberazione di tutti gli esseri viventi, a prescindere dalla specie.
In questo nuovo millennio, in questo nuovo secolo, dobbiamo imparare una cultura aggiunta a quelle che già conosciamo e sommare liberazione a liberazione: liberazione ecologica, liberazione animale a liberazione umana.
Dobbiamo farlo per un senso di giustizia nei confronti di tutti gli animali umani e non umani che abitano Gaia: una parte di loro (noi, quelli umani) abbiamo nel corso dei secoli costruito un sistema di sviluppo, di produzione, una economia omicida e genocida: con l’istituzione della proprietà privata dei mezzi di produzione, le classi dominanti si sono accaparrate ogni sorta di bene presente sul pianeta e lo hanno fatto per aumentare il loro potere, conservando i privilegi che hanno acquisito. A tutto scapito di miliardi di altri esseri umani la cui unica possibilità di sopravvivenza è stata, e rimane, la svendita della forza-lavoro al padrone, all’imprenditore.
Per far girare questa macchina di sfruttamento dell’uomo sull’uomo e di quest’ultimo su animali e natura, ogni bene comune è stato declassato a bene proprietario, privatizzato, lasciando agli Stati l’unica funzione di essere quei “comitati di affari” del grande capitale che detta loro le regole. A cominciare dai prestiti che concede: basti pensare al Recovery plan del governo Draghi, alle ciglia aggrottate della Commissione europea sulle poche garanzie che l’esecutivo del superbanchiere riesce a dare su voci di capitoli di spesa che riguardano quelle riforme strutturali del sistema istituzionale, politico ed economico italiano che dovrebbero toccare – in ultima istanza – al Parlamento della Repubblica e che invece, in virtù dell’accesso al prestito miliardario che l’Europa ci “concede” (un paio di virgolette sono persino poche…), ratificherà semplicemente le decisioni imposte da Bruxelles.
Sembra che il piano scritto dal Ministero del Tesoro non avesse nemmeno il gradimento completo di Draghi… Così, tra limature e correzioni, il superbanchiere internazionale ha personalmente rassicurato Ursula von der Leyen: «Garantisco io sulle riforme». Somiglia molto al «Ci assumiamo il rischio delle riaperture»; il che farebbe anche apparire molto eroico tanto il Presidente del Consiglio dei Ministri quanto il governo per intero… Ma poi arriverà il tempo della verifica sul campo, della comparazione dei numeri, della constatazione delle riforme messe in campo e di quelle ancora campate in aria.
Oddio, la rivoluzione liberista di Draghi potrebbe pure riuscire: il che vorrebbe significare che ci troveremmo in una Italia dove ad una garanzia per la ripresa produttiva di un capitalismo sempre, comunque “straccione” (rispetto a quelli degli altri paesi sia europei sia extracontinentali) corrisponde una inevitabile limitazione dei diritti sociali, del mondo del lavoro, degli operai e dei modernissimi schiavi dalle contrattualità tutt’altro che regolarizzate e stabilite.
La liberazione va intesa, dunque, come ritorno alla Costituzione e innovazione della medesima, per applicarne le fondamenta sociali, civili e morali e lottare affinché il Titolo V venga riformato e siano ripristinate tutte quelle garanzie egualitarie in materia di diritti fondamentali della persona e del cittadino che non possono conoscere disparità da Nord a Sud e tanto meno sulla base di una “autonomia differenziata” che viene spacciata come esaltazione delle peculiarità dei territori regionali mentre altro non è se non particolarismo egoistico che risponde alla legge della consequenzialità tra ricchezza uguale diritti, povertà uguale concessioni.
La liberazione cui oggi dobbiamo fare riferimento deve poter scavalcare le aride cifre del Recovery Plan, sapendo bene che da un governo come quello di Draghi non verranno sostegni alle classi deboli e sfruttate del Paese, ma solo tentativi di far penetrare sempre più il mercato dentro i meandri dell’amministrazione pubblica, svendendo al privato servizi nazionali e locali, privatizzando tutto quello che è possibile, come del resto chiede Bruxelles senza troppi giri di parole: proprio i servizi statali, regionali e comunali sono un terreno di conquista del liberismo europeo che punta ad impossessarsi praticamente degli Stati, lasciando loro soltanto la parvenza di essere sovrani sul proprio territorio e di lasciare ai cittadini la credenza che i princìpi costituzionali sono rispettati. Così, quindi la “sovranità che appartiene al popolo“.
L’Italia libera per cui hanno lottato le partigiane e i partigiani non voleva essere l’Italia che ha conosciuto prima i cinquantanni di regime democristiano, poi il craxismo, il berlusconismo e i tanti “ismi” che hanno devastato il carattere sociale della Repubblica. La rivoluzione tradita non è stata tanto quella proletaria nel 1945, ma quella della fondazione nel tempo di uno Stato italiano indipendente nel suo sviluppo economico, sociale e civile. Le basi della NATO (ben 59) che ancora stazionano sul territorio nazionale sono un’altra dimostrazione forse di indipendenza del Paese?
All’industria bellica regaliamo ogni anno tanti di quei miliardi che potrebbero essere invece investiti in qualificazioni del pubblico: primo fra tutti il settore sanitario che, come si è visto in questo sviluppo infelice di biennio pandemico, è stato completamente colto di sorpresa dal Covid-19, privo persino di un piano pandemico nazionale aggiornato. Tutte le forze politiche, e Draghi stesso, dicono di aver compreso la lezione e che è necessario rimettere mano all’amministrazione dello Stato, togliendo alle Regioni ruoli e competenze che hanno impedito di affrontare l’evolversi della pandemia con mezzi adeguati e nel pieno rispetto di uguali diritti di accesso alle cure per tutti i cittadini, su tutto il territorio nazionale.
Liberazione senza distinzione di specie, oltre ogni pregiudizio, per un anticapitalismo che sia al centro dell’azione politica e sociale dei comunisti, dei libertari. Per una nuova cultura del socialismo, dell’umanesimo. La Resistenza di ieri ha un senso anche oggi se ci rende così critici (ed autocritici) da pensarci non unici a dover essere liberati: alla liberazione umana va unita la liberazione animale, la liberazione ambientale.
Non c’è giorno migliore del 25 aprile per lanciare un appello: siamo comunisti libertari, per questo siamo per ogni liberazione. Contro ogni discriminazione tra umani e tra umani e altri esseri viventi. Soltanto così, la prima liberazione – quella dal nazifascismo – sarà un giorno letta, studiata e capita come il primo gradino di una evoluzione umana vera, di una intuizione primordiale che ha fatto schierare dalla parte giusta centinaia di migliaia di italiani e poi quasi un intero popolo. Non più per sopravvivere, ma per vivere nel pieno rispetto di ogni libertà, di ogni vita, di ogni diversità.
MARCO SFERINI
25 aprile 2021
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