Quelli che sembrano dei grandi successi del governo Draghi e della gestione commissariale anti-Covid rinnovata con alte cariche militari, possono anche apparire, con qualche ben fondata ragione di critica derivata da una attenta osservazione dei fatti, dei veri e propri fallimenti tanto sul piano della direzione politica quanto su quello dell’organizzazione del piano vaccinali nazionale (spezzettato sempre per regioni, quando non anche per province…).
I dati sono questi: il mese del cosiddetto “salto di qualità” nella potenza di fuoco vaccinale (per usare termini orrorifici ma tanto cari a chi indossa le divise) è stato spostato dal corrente mese di aprile a quello di maggio: in tre mesi, nei primi cento giorni della campagna, contemplate tutte le incognite del caso, le inefficienze delle grandi multinazionali dei farmaci, le reciproche guerre sui brevetti e la distribuzione ineguale tra i paesi del mondo ma, soprattutto, tra quelli dell’Unione Europea, sono stati vaccinati con la prima e la seconda dose soltanto 3.500.000 italiani, più o meno il 5% della popolazione.
La colpa sarebbe anche della scelta per categorie piuttosto che quella su base anagrafica, ma nulla impediva che si seguissero fin da subito entrambe le strade, magari rallentando le vaccinazioni, ma proseguendo unitariamente su tutto il territorio nazionale con una medesima regia. Vero: la crisi politica di gennaio non ha giovato alla poderosa macchina gestionale governativa e regionale, quindi un altro alibi può essere collezionato da chi tenta di mostrare, con un rocambolesco gioco alla tutela del prestigio nazionale, che tutto sommato siamo meglio del Messico che è ancora a zero dosi o di molti paesi africani che, essendo considerati umanità di secondo livello (visto che non possono garantire pienamente i pagamenti delle dosi prenotate) vengono fatti oggetto di più che onorevoli elemosine di vaccini: laddove avanzano…
C’è, dunque, chi vede una straordinaria macchina del capitalismo mondiale che si è messa in moto per fare fronte all’emergenza pandemica con una impressionante velocità e chi, invece, in tutto questo non fa che scorgere l’ennesima contraddizione tra la tutela dei diritti universali di ogni essere vivente e gli interessi invece preponderanti di “big pharma“: un fatto endemico, non separabile dal sistema. E’ nato e continua a vivere per privilegiare una parte dell’umanità e per asservirne il resto, compresi animali non umani e natura, e così continua a comportarsi: perfettamente coerente con la catena del DNA dei suoi scopi originari.
La disastrosa campagna vaccinale in Italia è la conseguenza di una somma di idiosincrasie tra le istituzioni centrali dello Stato e quelle periferiche delle regioni e delle province, sebbene queste ultime abbiano un ruolo del tutto irrilevante nell’organizzazione della guerra alla pandemia nello Stivale. Il punto di scontro vero è tra governo e giunte regionali, tra Draghi e i Presidenti di Regione che sembrano non volerne sapere di non muoversi in direzione ostinata e autonomamente contraria. Un ribellismo non fine a sé stesso ma volutamente messo in campo per rimarcare particolarismi che nuocciono anche al migliore dei governi, disposto a dialogare ma non fino al punto di consentire che Campania e Veneto saltino l’asticella fittizia di una eguaglianza del diritto alla salute molto trascurata e logora, per assicurare a partenopei e discendenti della Serenessima anche altri vaccini: nemmeno a dirlo, lo Sputnik di Putin.
La partita che si gioca è a più livelli: ne va del prestigio politico amministrativo delle giunte regionali, di quelli che vengono paludatamente definiti “governatori“, per un vizio di espressione giornalistica ormai entrato nel tremendo ingarbuglio del “senso comune” del linguaggio distorto e compromesso nel suo riportare, con quasi esattezza, la corresponsione tra il dire e l’essere.
Persino Mario Draghi, cui pochi osano nel governo rivoltarsi apertamente, contraddire pubblicamente e con una durata più lunga di ventiquattro ore, si è trovato innanzi ad un disordine amministrativo, dovendo fare appello ad una unità nazionale, ad un richiamo staliniano alla grande guerra patriottica contro quel nemico invisibile che è il Covid-19 e che non lo si ferma a cannonate, ma solo con la perfetta sovrapposizione di diritti enunciati e diritti applicati nel concreto. Princìpi costituzionali e decreti attuativi dei medesimi, ossia un esercizio della politica di governo improntata ad un necessario pragmatismo che implica anche una certa severità di intenti.
Il fallimento del liberismo è evidente su scala planetaria e non solo per non aver saputo fronteggiare in questo anno e mezzo l’eccezionalità pandemica con la sua enorme potenza economica; è soprattutto evidente nella particolarizzazione degli interessi geopolitici dei vari poli di sviluppo delle industrie farmaceutiche, quindi da continente a continente, da singolo paese ad altro paese.
La concorrenza ha invaso ogni settore produttivo e non ha risparmiato, ovviamente, una scienza che avrebbe avuto bisogno di tempi molto più lunghi per poter sviluppare vaccini più rassicuranti, invece di sperimentarli immediatamente nel grande centro ospedaliero mondiale, su centinaia di milioni di persone (anche se, alla fine, ogni farmaco rende manifeste le sue controindicazioni solo una volta che è somministrato per lungo tempo a enormi masse di popolazione).
Sembra che la logica scientifica dell’assioma “I benefici superano ancora i rischi” sia stata adottata anche dalla politica di casa nostra, per cui tutto diventa lecito fino a quando l’utilità di certi interventi garantisce la maggioranza delle forze politiche presenti in Parlamento, riduce il dibattito di questo al minimo e fa dell’opposizione un finto osservatore critico, oltretutto dall’indigesto sapore sovranista. Rimane molto complicato dedurre quali siano i cosiddetti “punti di caduta“, quindi le scelte da fare per eliminare la discrasia, per riportare il Parlamento al ruolo che gli spetta, sottraendolo ad una autoacquisita preponderanza delle politiche governative in virtù dell’eccezionalità del momento, dell’emergenza sanitaria in corso.
In questi giorni è proprio la questione riguardante il rapporto tra “benefici” e “rischi” sul vaccino AstraZeneca che influenza ansiogenizza larga parte della popolazione, oggetto di una comunicazione veramente paradossale, dove la velocità delle informazioni si unisce alla polifonia inquietante di autorevoli voci scientifiche che si contraddicono, che alternano tesi, antitesi e sintesi diametralmente opposte. Se ne può davvero sperare che anche i più convinti assertori di uno scientismo razionale, ragionato e cui si presta massima fiducia, possano restarne incolumi e non esserne contagiati?
Quando l’EMA, verificato che esistono ormai accertate correlazioni tra lo sviluppo di (pur esigui) casi di trombosi venali e l’inoculazione del vaccino di Oxford, lascia ad ogni singolo Stato dell’Unione Europea la discrezionalità su come comportarsi, è evidente che non solo dimostra la totale mancanza di una politica sanitaria continentale, ma rischia di venire meno anche in autorevolezza nella certificazione dei farmici: tutto ciò si presta ad un fuoco di fila della propaganda da fantasie di complotto fino a quella dei negazionisti e dei riduzionisti del pericolo da Covid-19.
Ne consegue che la già rovinosa campagna vaccinale italiana subirà un contraccolpo non da poco in termini di numero di somministrazioni quotidiane, senza avere una parallela campagna di corretta informazione che non sia mera propaganda ma vera e propria serie di risposte a domande frequenti.
Per sgomberare il campo dalle macerie della confusione ormai ampiamente diffusa servirà molto tempo: ed il tempo è proprio quello che non abbiamo, visto il crescente malessere sociale, più che giustificato nelle sue forme di civile protesta e non certo negli atti di teppismo squadristico sempre pronti ad essere messi in opera dalle destre neofasciste in ogni piazza dove la rabbia cieca e politicamente indistinguibile prende il posto della rivendicazione di classe.
Il fallimento dei governi nella gestione della pandemia è prima di tutto il fallimento del liberismo dominante e globale, declinato nelle varie salse transnazionali e nazionali.
Solo una alternativa a 180 gradi di questa gestione può essere efficace nel ristabilire anzitutto un principio di eguale distribuzione dei vaccini in tutto il mondo, liberando la conoscenza scientifica dalla proprietà privata dei diritti commerciali, della schiavitù delle licenze, dai torbidi affari tra grandi potenze mondiali e le “big pharma“. L’inegualità dello sviluppo si ritrova, veramente in modo lampante, nella sproporzione che oggi c’è tra chi come Stati Uniti, Canada, Israele e Regno Unito ha potuto accaparrarsi quattro volte tanto le dosi di vaccini che nemmeno ancora sono stati visti dalle parti dell’Africa subsahariana.
Il fallimento del liberismo capitalistico è completo in questo in biennio pandemico.
MARCO SFERINI
8 aprile 2021
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