Sfuggendo al principio millenario che sentenzia la maggiore saggezza nella maggiore età, in un proporzionale crescendo dal sapore rossiniano, si potrebbe dire che, vedendo come votano gli italiani da un bel po’ di tempo a questa parte, sarebbe bene che a diventare cittadini attivi, in tutto e per tutto, fossero pure i sedicenni. La proposta di ampliare il corpo elettorale è interessante e merita una riflessione che allontani qualunque tentazione draconiana, qualunque apriorismo.
L’età anagrafica, certo, ci dice molto su qualunque cittadino, ma non è sempre un indice di maturità non solo intellettiva ma pure di acquisizione della piena consapevolezza di ciò che significhi essere una cittadina o un cittadino nel senso laicamente civico e civile della parola. Più che altro andrebbe considerato l’aspetto umano di ciascuno di noi, quindi andrebbe preso in esame il contesto in cui oggi nascono e crescono le generazioni del futuro.
I sedicenni di oggi hanno a che fare con tanti e tali mezzi di comunicazione di massa da non poter essere sostenibile la tesi, detrattrice dell’estensione a loro del diritto di voto, che li vorrebbe impossibilitati o incapaci di intendere e volere in quel preciso senso. Che si avvantaggino in tal senso e attingano qualunque tipo di notizia o che approfondiscano temi cari al nostro vivere quotidiano è, ovviamente, un altro piano su cui ragionare: per ogni obiezione che si può muovere al più o meno sufficiente senso civico dei ragazzi, ve ne sono almeno altrettante da muovere allo scarsissimo senso civico e morale degli adulti.
Se dare il diritto di voto ai sedicenni non si risolve in una oziosa diatriba tra forze politiche per contare su un bacino più ampio di elettorato, allora l’argomento è serio e va affrontato con il pregiudizio unico di comprendere se si sta programmando una riforma che può consegnare a giovani generazioni una responsabilità ulteriore, un momento di crescita che li impegni nella scelta di una idea, di una visione della società in cui si trovano a vivere, di una interpretazione anche più vasta del mondo, di un abbraccio ideologico che li faccia anche sognare un poco, come del resto tutte e tutti abbiamo un po’ fatto quando eravamo adolescenti.
Qualcuno scrive, intorno alla proposta riportata in auge dal neosegretario del PD Enrico Letta, citando una serie di steretipizzazioni che non consentono di affrontare il tema con una serenità tale da evitare qualunque pregiudizio e anche giudizio: non si tratta, infatti, di diventare tutte e tutti professori di educazione civica e cimentarsi nella valutazione cattedratica circa la maturità di ragazze e ragazzi che noi pensiamo ancora un po’ lontani dalla maturità scolastica.
Si tratta di prendere in considerazione i mutamenti che sono avvenuti nel tempo e, considerata l’oggettiva impossibilità di pensare al diritto di voto come a qualcosa che sarà tendente allo zero nella scala di estensione per le giovanissime generazioni, il traguardo dei sedici anni può essere uno spunto di riflessione su tutta una serie di diritti che non potrebbero essere scissi da quello di cui in oggetto.
Se, compiuti sedici anni, ragazze e ragazzi potessero votare – ipotizziamo – solo per la Camera dei Deputati, questo dovrebbe avvenire impostando le campagne elettorali differentemente rispetto alla consuetudine: attualmente chi ha quella bellissima età in Italia sono circa tre milioni di giovani. Di giovani cittadini, per l’appunto. Se una riforma di questo tenore dovesse prendere campo e concretizzarsi, servirebbe una modifica legislativa che andrebbe a corredo della Costituzione, evitando di lasciare dei punti vacanti nella normativa: occorrerebbe ad esempio riparlare anche dell’elettorato passivo.
Ad oggi può essere elettore del Senato della Repubblica chi ha compiuto almeno il venticinquesimo anno di età e può divenire senatore chi è andato oltre il mezzo del cammin di nostra vita ed ha scavalcato il crinale degli “anta” (articolo 58 della Costituzione). Mentre la Camera dei Deputati viene eletta da tutto il corpo elettorale, da chi ha acquisito la pienezza dei diritti della propria cittadinanza avendo festeggiato i fatidici diciotto anni, confine giuridico della maturità.
Abbassare la soglia del diritto di accesso al voto vorrebbe allora dire considerare anche una “nuova maturità” per questi milioni di cittadini, rivedendo ad esempio i programmi scolastici, il loro rapporto col resto delle istituzioni (iniziando da quelle locali), riportando il dibattito ad una delle tante riforme presentate nel corso degli anni in Parlamento e lì rimaste in un oblio sonnambolico: quella di Toninelli che, in effetti, considerava la questione in una ampiezza diversa dalle proposte di modifica della Costituzione e delle Leggi di attuazione collegate che invece si limitavano ad un ristretto campo concernente il voto nazionale.
Se i sedicenni devono diventare cittadini a tutto tondo, anche come elettori attivi, è bene tenere a mente che un diritto o è dato nella sua pienezza o finisce con l’essere da un lato un privilegio per pochi, dall’altro una concessione magari anche per tanti e somigliare molto ad un diritto, senza però esserlo nella maniera più assoluta. Quando finalmente, dopo la fine della Seconda guerra mondiale e il crollo del regime criminale fascista, il diritto di voto è stato reso universale e per la prima volta, al referendum del 2 giugno e per l’elezione dell’Assemblea Costituente, anche tutte le donne italiane si sono recate alle urne, nessuno ha pensato di limitarlo al solo ambito nazionale.
I diritti acquisiscono la loro forza e si impongono in virtù di cambiamenti epocali: allora era stata la guerra a tramutare l’Italia, a farla scivolare nel fondo più fondo, per rinascere lentamente con la lotta resistenziale partigiana e quella delle forze di liberazione alleate. Oggi è la rivoluzione della velocità dello scambio delle informazioni, delle grandi potenzialità di acquisizione di nozioni che sfuggono alla lentezza di una scuola peraltro molto provata dal biennio pandemico.
Non si tratta di giudicare severamente il nostro sistema scolastico dando ad esso una patente ingiusta di anacronismo: semmai di criticarlo propositivamente, di incentivare nuovi investimenti da parte di uno Stato che deve valorizzare la cultura e il sapere includendo e allo stesso tempo prescindendo dal mero ambito scolastico. Il cittadino deve poter accedere alla conoscenza non solo sui banchi di scuola e nella grandi aule degli atenei; non solo se ha gli strumenti personali economici per poterlo fare; non solo se ha capacità più o meno docili nei confronti dell’apprendimento. Deve poterlo fare – come la nostra Costituzione recita all’articolo 34 – in qualunque condizione, oltre la capacità e il merito stesso: a tutte e tutti va data la possibilità di sapere ciò che è umanamente possibile, prima ancora che civicamente.
Obbligatorietà e gratuità degli studi, altri diritti a lungo trascurati in questo povero Paese dai grandi precetti costituzionali, non sono sufficienti a creare dei cittadini. Cittadini che sono liberi anche di scegliere l’antitesi alla cittadinanza, una sorda di apolidità per l’appunto intellettiva e intellettuale, ideale e ideologica al tempo stesso, rifiutando lo Stato, il potere, le istituzioni e tutto il cascame di burocratico disordine che dovrebbe invece semplificare la vita di ognuno di noi.
Oltre all’obbligo scolastico e alla gratuità degli studi, va esaltato il diritto universale di godimento dei diritti fondamentali dell’essere umano e del cittadino: primo fra tutti quello all’esercizio della propria coscienza che è qualcosa di ben più alto della Legge con la elle maiuscola.
Proprio per questo, se il diritto di voto esteso ai sedicenni dovesse essere una delle riforme del futuro, sarà utile affiancare alla propaganda politica istituzionale, che presenterà tutto questo come una grandissima conquista di civiltà di cui bearsi nei decenni a venire, anche il pensiero critico in merito, ricordandosi che nessun voto è utile se poi si è costretti a scegliere il “meno peggio“, a fare a meno dei una libertà nella libertà, di un principio democratico entro la democrazia stessa, quella che dovrebbe trovare applicazione diretta nell’espressione più sincera della delega da elettore passivo ad attivo.
I tentativi di strumentalizzazione dei giovani, di una ennesima captatio benevolentiae nei confronti di una nuova fetta di elettorato, non saranno evitabili. Non del tutto almeno. Anche da questo si misurerà la maturità di forze politiche che oggi vogliono celebrarsi come paladine della comprensione delle ragioni delle generazioni nate nel nuovo millennio e che, fino ad ora, hanno conosciuto soltanto precarietà e disagio nella vita quotidiana, alternanza fra una scuola pubblica sempre più povera e un lavoro sempre meno garantito ed infine la tragedia della pandemia.
Che almeno il diritto di voto sia restituito un poco a sé stesso, al suo originario valore: un piccolo grande segno di voglia di partecipazione e di scelta. Libera scelta, non il meno peggio.
MARCO SFERINI
6 aprile 2021
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