Forse non tutti lo percepiscono, ma all’ombra dell’emergenza pandemica è in corso un regolamento di conti tra visioni diverse della scienza medica. Al centro di un fuoco incrociato c’è quel gruppo di clinici, epidemiologi e analisti secondo cui farmaci e terapie devono superare valutazioni rigorose e indipendenti, i conflitti di interesse con le società farmaceutiche sono un problema e la salute difficilmente va d’accordo col profitto. A livello internazionale, questa scuola di pensiero fa capo al network Cochrane, la rete di ricercatori indipendenti che verifica l’efficacia e la sicurezza dei farmaci al di là della propaganda delle case farmaceutiche.
In Italia, all’istituto di farmacologia «Mario Negri» fondato da Silvio Garattini, all’associazione «Alessandro Liberati», al Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze (Gimbe) e ad altri centri minori.
Nel mondo della salute non tutti la pensano così. La scarsità di finanziamenti ha reso inscindibili i legami tra accademia e industria privata, che da parte sua sfrutta la ricerca pubblica per le applicazioni commerciali. Le prospettive di guadagno hanno anche condotto molti scienziati a lasciare l’accademia in favore dell’industria o a considerare i conflitti di interesse come un dato di fatto da non demonizzare.
Questa modo di intendere la medicina durante la pandemia ha segnato diversi punti a suo favore.
Mettiamo in fila alcuni episodi. Grazie al decreto Rilancio dello scorso giugno, sono stati autorizzati a svolgere le valutazioni di efficacia dei farmaci anche i ricercatori pagati dalle stesse aziende produttrici.
Il dibattito sull’autorizzazione degli anticorpi monoclonali si è trasformato in un conflitto interno all’Aifa tra il presidente Giorgio Palù, consulente del governatore veneto Luca Zaia e favorevole all’autorizzazione, e il direttore Nicola Magrini cresciuto al «Mario Negri», cofondatore del Centro Cochrane Italiano e scettico per l’esiguità dei dati e la scarsa utilità del trattamento made in Usa. Contro il parere dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) ha avuto la meglio Palù, che ha pure preso il posto di Magrini nel nuovo Comitato tecnico scientifico. Dal comitato, invece, è stata tenuta fuori Stefania Salmaso, epidemiologa ed esperta di sanità pubblica di indiscussa competenza. L’epidemiologa paga la contrapposizione con il consulente del ministro Walter Ricciardi iniziata nel 2015, quando l’allora presidente renziano dell’Iss chiuse il Centro Nazionale di Epidemiologia da lei diretto. Di scontro interno si parla pure per l’istituto «Spallanzani». Sul vaccino Sputnik V il direttore sanitario Francesco Vaia è apparso assai favorevole, come molti politici di destra e di sinistra. Il direttore scientifico Giuseppe Ippolito, nelle cui competenze rientrerebbero le ricerche che si svolgono all’istituto, invece non risponde più alle domande e preferisce attendere l’analisi dell’Ema sui dati.
Draghi ha fatto capire che l’Italia potrebbe muoversi in autonomia.
Non riceve l’ascolto che meriterebbe nemmeno un altro centro di eccellenza, quel «Mario Negri» da sempre schierato a difesa di un’etica medica rigorosa. I numerosi appelli del presidente Silvio Garattini a sospendere i brevetti sui vaccini sono stati finora ignorati dal ministro Speranza. E le proposte del direttore Giuseppe Remuzzi, a cui la Lombardia aveva chiesto aiuto per riformare la disastrosa sanità regionale, sono state scartate a favore di quelle dell’ex-rettore della Statale Gianluca Vago, già consigliere del presidente regionale Fontana. L’offensiva non ha risparmiato neanche il presidente del Gimbe Nino Cartabellotta, oggetto degli attacchi della Lega per aver previsto (a ragione) una «terza ondata» dell’epidemia.
Come si vede, il conflitto tra esperti coinvolge anche attori esterni, come l’industria farmaceutica e la classe politica. Se l’interesse delle aziende a sbarazzarsi di controlli e controllori è scontato, quello della politica è una conseguenza dell’emergenza. Per tutta la durata della pandemia, ministri e viceministri, governatori e assessori hanno tentato di nascondere la loro impotenza dietro provvedimenti mirati a influenzare l’opinione pubblica più che alla tutela della salute e di inseguire il consenso sponsorizzando trattamenti regolarmente presentati come panacea e poi smentiti nei test delle agenzie internazionali. Di qui l’insofferenza per chi preferisce rispettare le evidenze scientifiche, rinunciare alle scorciatoie ed evitare commistioni di ruoli.
L’emarginazione degli esperti meno malleabili iniziata durante il governo Conte 2 ha conosciuto un’accelerazione sotto la premiership di Draghi. D’altronde il governo dei migliori è salito al potere con l’aureola di chi può fare miracoli, e chi dice che i miracoli non esistono è bene che si tolga di mezzo.
ANDREA CAPOCCI
Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay