Con la legge 92 del 30 Marzo 2004 – votata in maniera bipartisan – venne istituita la Giornata del Ricordo “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Da allora, nei fatti, è diventata una ricorrenza sorretta unicamente da una narrazione mistificatoria e manipolata dei fatti storici (e delle fotografie storiche) – divulgata a vari livelli mediatici ed istituzionali – ad uso di nazionalisti, filocapitalisti e neofascisti, in chiave anticomunista. E col tacito obiettivo di rimettere in discussione l’importanza della ricorrenza del 25 Aprile tanto che i “riconoscimenti ai congiunti degli infoibati” previsti dalla legge istitutiva del Giorno del Ricordo sono stati conferiti, in molti casi, alla memoria di fascisti conclamati e direttamente responsabili di crimini di guerra (1). Una beffa e un’offesa pesantissima per tutto il movimento di Liberazione che nel 1943-45 liberò l’Italia dal Fascismo; e per tutti gli antifascisti di oggi.
Fuori dal coro mediatico -con determinazione e coerenza- ci sono sempre stati associazioni come l’ANPI o come l’Istituto Regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia(2), organizzazioni culturali e politiche, e numerosi storici italiani e stranieri, che non hanno mai rinunciato a svolgere un ruolo di controinformazione allo scopo di far meglio comprendere i fenomeni storici nella loro complessità, smontando la presunta verità “ufficiale”.
Tra questi storici controcorrente, c’è Eric Gobetti, autore del buon libro “E allora le foibe?” (Laterza, 2020) che in maniera scorrevole e sintetica smonta la versione “ufficiale” in ogni suo punto. Arricchito da una bibliografia ragionata molto utile.
Tra i vari temi affrontati, Gobetti spiega bene come la zona geografica dell’Alto Adriatico (Istria e Dalmazia) sia sempre stata una zona abitata da popolazioni diverse (italo-latine, slave e tedesche) e quindi una zona multiculturale, multilinguistica e multinazionale. E ciò per smontare il mito dell’italianità prevalente.
A ciò si aggiunge la narrazione di quelli che furono alcuni dei crimini prodotti dall’occupazione fascista della Jugoslavia dal 1941 al 1945 (3): italianizzazione forzata delle popolazioni sul piano linguistico e anagrafico; distruzione di case e interi villaggi, fucilazioni di massa di ribelli, e creazione di campi di concentramento nei quali finiranno internati circa 100 mila jugoslavi, per lo più civili, tra cui donne, vecchi e bambini. Uno dei peggiori lager italiani fu quello sull’isola di Arbe/Rab dove furono internati almeno 30 mila civili.
Tutto ciò spiega come fosse alto il sentimento di odio e di vendetta verso i fascisti e di come ciò portò -a fine guerra- ad azioni di rappresaglia da parte dei civili slavi verso molti degli italiani rimasti, che per lo più erano filofascisti, membri del partito fascista o dell’apparato di potere fascista (es. dipendenti pubblici, prefetti, carabinieri, insegnanti…) o capitalisti, commercianti, professionisti e proprietari terrieri collusi con il fascismo. E qui bisogna assolutamente ricordare che le azioni di rappresaglia erano mosse da motivazioni politiche e non etniche, come dimostra il fatto che migliaia di partigiani italiani antifascisti combatterono all’interno delle formazioni partigiane jugoslave, tra le 20-30 mila persone. Così come vanno ricordati gli ustascia croati e i cetnici sloveni che collaborarono con l’ occupazione fascista e nazista. E, a guerra persa, subirono poi repressioni e rappresaglie, a decine di migliaia. In un clima da “resa dei conti” generale, diffuso in tutta Europa. Stessa sorte toccò – peraltro – anche ai tedeschi rimasti dopo la sconfitta del nazismo. Un po’ in tutta Europa, la rappresaglia colpì i tedeschi rimasti nelle zone liberate dall’occupazione nazista, facendone la popolazione più colpita da rappresaglie e repressioni a fine guerra.
E’ ciò che successe anche in Italia, all’ indomani della Liberazione, molti fascisti e nazisti e collaborazionisti vari vennero fucilati all’ istante o subirono rappresaglie: circa 3 mila solo in Emilia Romagna, 2 mila solo a Torino, e migliaia tra Veneto, Liguria, Lombardia. E se non ci fosse stata l’amnistia votata da Togliatti e dal PCI, i partigiani avrebbero -giustamente- proseguito con le azioni di rappresaglia verso fascisti e nazisti.
Altro punto saliente, è quello relativo ai dati numerici sulle foibe: le vittime reali infoibate furono circa 1500-3000 complessivi, e non tutti di etnia italiana e nemmeno tutti filofascisti poiché anche centinaia di partigiani jugoslavi vennero uccisi dai fasci-nazisti ed infoibati. Una cifra ben lontana dal milione di vittime proclamato ufficialmente e falsamente da giornalisti e politici; per inciso la maggioranza delle vittime istriane di etnia italiana furono circa 10 mila, la maggioranza di queste vennero internate in campi di prigionia jugoslavi situati nell’ entroterra, dove molti morirono di stenti.
Altro tema centrale è la vicenda dell’esodo che riguardò circa 350 mila italiani. Non si trattò del prodotto di un’ espulsione formale e forzata da parte del governo jugoslavo di Tito, ma di una serie di fattori che spinsero migliaia di italiani residenti in Jugoslavia – dal 1941 al 1956 – ad espatriare in Italia. Già in piena guerra era iniziato l’ esodo a causa delle violenze e distruzioni della guerra, che alimentarono poi un clima di diffidenza e paura tra gli italiani rimasti e la popolazione locale slava; e certamente non mancarono azioni di vessazione verso gli italiani, al termine del conflitto. In più le carestie e le difficoltà del dopoguerra fecero il resto; ma soprattutto risultò decisiva la politica economica adottata dal governo di Tito: espropriazioni, collettivizzazione forzata, nazionalizzazione delle proprietà, pianificazione economica, rapida industrializzazione a fronte di una scarsissima attenzione ai consumi. Tutto ciò impoverì le classi sociali più benestanti – commercianti, proprietari terrieri, piccoli agricoltori, industriali – molti dei quali di etnia italiana. Inoltre, la legge Scelba del 1952 aveva previsto per i profughi istriano-dalmati facilitazioni per l’ assegnazione di case popolari e per l’assunzione nel settore pubblico o negli enti parastatali. E ciò avvenne anche alla Fiat di Torino e in altre aziende private, contribuendo ad attrarre molti esuli anche negli anni seguenti. Negli anni ’45-’46 ci furono anche 3 mila italiani che dall’Italia scelsero di trasferirsi in Jugoslavia per motivi ideologici, per lo più operai di Monfalcone che andarono a lavorare nei centri industriali di Pola e Fiume. Perciò non ha senso parlare di “pulizia etnica” come viene fatto dalla vulgata ufficiale.(4)
Insomma, la narrazione prevalente che sta oggi intorno al Giorno del Ricordo rende questa ricorrenza fortemente divisiva e fonte di tensioni in Italia e all’estero. Serve un cambio di rotta radicale: a livello di massa bisognerebbe ricordare con forza le violenze compiute dai fascisti in Jugoslavia; separare le vittime innocenti da coloro che hanno combattuto fino all’ultimo a fianco di fascisti e nazisti. In tal modo verrebbero ricordati i drammi prodotti dal nazionalismo, dal fascismo, dall’imperialismo e dalla guerra. Ma per fare questo c’è bisogno di un movimento politico-sociale-culturale alternativo disposto realmente a perseguire la verità storica nell’interesse collettivo, e fino in fondo.
LEO STAITA
Note:
(1) Un esempio è quello del tenente colonnello Vincenzo Serrentino, fascista della prima ora, comandante della Milizia, membro del Tribunale straordinario della Dalmazia, dal 1943 al 1945 prefetto di Zara e capo della provincia. Arrestato dalle autorità jugoslave, riconosciuto criminale di guerra è stato fucilato nel 1947.
(2) Nel 2019 questo ente ha prodotto il Vademecum per il Giorno del Ricordo per la corretta divulgazione della storia delle violenze sul confine orientale, che smentisce la versione ufficiale. Il vademecum è liberamente scaricabile da questo sito
(3) Un tema già in parte affrontato daE. Gobetti nel testo “Alleati del nemico. L’ occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943)” Laterza, 2013. Più approfondito il libro di C.Di Sante (a cura di) “Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951)” Ombre Corte, 2005.