Se scorriamo l’elenco delle imprese controllate in Italia dal capitale pubblico se ne registra un numero elevato; esse fanno capo a diversi soggetti (Mef, Cdp, Invitalia, enti locali). Con i nuovi arrivi in corso si sta ritornando grosso modo alla situazione di decenni fa, ai tempi dell’Iri. Peraltro hoc erat in votis, molti lo speravano.
L’importanza di questo aggregato diventa ancora più rilevante se pensiamo che le grandi società private sono quasi tutte o scomparse o passate allo straniero. Si ha peraltro la sensazione di trovarsi di fronte ad un insieme casuale di entità, senza strategie ed indirizzi chiari ed unitari. Apparirebbe urgente che la politica ci mettesse le mani.
Sono ora sul tavolo una serie di altri dossier, dall’Ilva, ad Autostrade, all’Alitalia (o meglio, alla newco Ita), alla fibra. Il governo sta cercando di darsi da fare, ma il covid, le molte difficoltà delle questioni e gli interessi in campo rendono ancora più arduo il quadro. Ora la crisi di governo porterà certamente degli ulteriori ritardi e delle complicazioni in dei casi che non ne avevano certo bisogno e che si trascinavano da anni. Ringraziamo Renzi anche di questo.
Già scrivendo dell’Alitalia prima della pandemia, sottolineavamo, come, a fronte di un traffico aereo mondiale in crescita, il primato del mercato stesse passando dall’Occidente all’Asia e al Medio Oriente, mentre l’Europa tendeva a perdere rilevanza. Gli Usa e la Cina registravano una concentrazione del mercato in poche mani, mentre tale processo in Europa era ancora in pieno svolgimento, con il settore che si andava comunque aggregando intorno a tre vettori “classici” e due-tre low-cost, con pochissimo spazio per gli altri e mentre la redditività media vi appariva più bassa che in Usa e in Cina.
In tale quadro, la posizione dell’Alitalia sembrava molto precaria, con la drammatica riduzione delle quote di mercato, in Italia (dove era ormai solo la terza compagnia) come in Europa, mentre l’ultimo bilancio in utile era del 2002. Gli spazi per un rilancio apparivano molto risicati. Ora con la pandemia si è fatto tutto ancora più difficile.
Il traffico aereo mondiale nel 2020 è crollato del 60% e la perdita per le compagnie è stata di quasi 400 miliardi di dollari. Per il 2021 si prevede ancora una perdita stimata tra i 163 e i 194 miliardi. Qualcuno sostiene che una ripresa piena ci sarà solo nel 2023 o nel 2024. Il mercato è ripartito solo in Cina e in qualche altro paese asiatico.
Peraltro, avanzano le telecomunicazioni in rete e quindi anche in futuro forse ci si sposterà di meno. In Occidente le imprese sopravvivono grazie ai massicci aiuti pubblici, mentre esse tagliano i voli e le rotte, riducono il numero dei velivoli, mandano a casa i dipendenti. «Piegati giunco, perché passa la piena», come recita un vecchio proverbio. Ma dopo la pandemia la concorrenza sarà ancora più aspra.
Il governo ha stanziato tre miliardi di euro per capitalizzare la compagnia. Da quando essa è in amministrazione straordinaria, dal maggio 2017, lo Stato ha già inoltre erogato due finanziamenti per un totale di 1300 milioni, più circa 200 milioni per il Covid; sembra che la nuova compagine perda comunque oggi 60 milioni al mese.
Bruxelles non ha ancora dato il suo placet a tali prestiti, mentre aleggiano dubbi sul piano di rilancio; è arrivata al governo una lettera con ben 100 quesiti e con la richiesta di una completa discontinuità con la precedente società, con alcune condizioni molto pesanti. Naturalmente le attuali difficoltà del governo aggraveranno anche i dubbi dell’Ue. In ogni caso, sembra che si tratti ad oltranza.
D’altro canto, il sindacato mostra di credere in una nuova compagnia che funga da volano per lo sviluppo del trasporto merci e persone e che valorizzi la filiera del turismo, mentre non preveda riduzioni di personale né spezzatini.
Esiste un documento preparato per il governo, insieme ad altre società, dalla Bcg, che approntò anche a suo tempo il piano di Berlusconi e che prevede, per partire, una compagnia autonoma, ma più piccola, con metà dell’attuale flotta, con circa la metà del personale attuale (5.200 persone, che dovrebbero però diventare oltre 9.000 nel 2025), con lo scorporo di manutenzioni ed handling.
Chi scrive è un sostenitore dell’intervento dello Stato nell’economia, ma d’altro canto il pubblico non può fare e risolvere tutto. Dispiace dirlo, ma tentare l’avventura appare, viste le condizioni del mercato e delle altre variabili esterne, un’impresa sovrumana, a meno di non essere pronti a sacrificare nel tempo parecchi soldi; siamo convinti che l’Alitalia sia morta da tempo, almeno come impresa. Forse, la resa ai tedeschi sembra l’unica, anche se certo poco entusiasmante, ancora di salvezza. Naturalmente possiamo sbagliarci e il nuovo gruppo dirigente potrebbe riuscire a fare miracoli. Chissà, ogni tanto avviene. In ogni caso, ovviamente, il governo dovrà trovare come sistemare i lavoratori che perderanno il posto in tutte le possibili soluzioni per la società.
VINCENZO COMITO
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