La miseria della crisi di governo tra pandemia ed eventi mondiali

La terra trema sotto le stanze di Palazzo Chigi: i cosiddetti “costruttori” (o “responsabili“) non riescono a formare un gruppo numericamente necessario alla certezza della sopravvivenza del governo che...

La terra trema sotto le stanze di Palazzo Chigi: i cosiddetti “costruttori” (o “responsabili“) non riescono a formare un gruppo numericamente necessario alla certezza della sopravvivenza del governo che domani e dopodomani si presenterà alle Camere per ottenere la fiducia, dopo il cinico strappo dell’uomo delle demolizioni incostituzionali e della rottamazione della democrazia.

Sarà una settimana piena di eventi: vita o morte per il Conte bis, il passaggio di consegne tra Angela Merkel e Armin Laschet, il giuramento di Biden al Campidoglio e giovedì 21 gennaio il centenario della nascita del Partito Comunista d’Italia. Proprio giovedì prenderà il via su “la Sinistra quotidiana” una serie di interviste, di approfondimenti che percorreranno l’intero anno per ricordare, sotto differenti punti di vista, da angolazioni anche opposte, una grande storia politica e sociale che oggi il panorama dell’Italia pandemica, intrisa di liberismo e di sfruttamento oltre ogni ordine e grado, esclude quasi a priori e non è in grado di immaginare in un prossimo futuro.

La crisi di governo che si è aperta, per come sta involvendo, è sempre più difficile da derubricare come un semplice contrasto caratteriale tra Renzi e Conte; oppure un capriccioso volersi impuntare su rivendicazioni, che avrebbero avuto anche un loro senso nella traduzione pratica di una revisione del Recovery fund, finalizzate a ricercare un tentativo di egemonia centrista in una coalizione populista-liberaldemocratica.

Ciò che la rende importante è soltanto lo stato di gravità sanitaria in cui si trova l’Italia, al pari (o quasi) del resto d’Europa e del mondo. Se la pandemia d’un tratto sparisse, come per magia, questa crisi di governo si rivelerebbe come una delle manifestazioni più ipocondriache di una politica meschina, priva di un collegamento col comune sentire e di un rispetto persino per la retorica delle parole che vengono usate, abusate e svilite nell’essere costantemente ripetute in ogni dove, in televisione come sul web, e che finiscono per significare niente di più se non un suono tra tanti.

La crisi della maggioranza giallo-rosa, oltre a sedimentare sul terreno dello scontro economico-sociale e sulla rappresentanza politica del medesimo, è anche espressione di una estrema fragilità istituzionale che non può essere espunta da una analisi complessiva tanto dei tempi contingenti quanto della fase pre-pandemica.

Nessuno può dimenticare che Conte, nonostante oggi appaia come il cavalier servente di una democrazia incerta nella sua stabilità costituzionale, è una “invenzione” pentastellata. Si potrebbe persino dire che è stata una “intuizione” azzeccata, perché ha sbaragliato ogni previsione sul suo conto e si è imposto nella scena politica e nel favore popolare grazie alle sue capacità di mediazione e al suo mostrarsi al di sopra degli interessi di partito, sposando la causa del benessere comune (almeno a parole…).

Se vogliamo, oltre ad essere stata una scommessa azzeccata in tal senso, ha anche rivoluzionato una tradizione politica di lungo corso, che andrebbe comunque non regalata al baule dei ferrivecchi del passato: quella della gavetta di lungo corso, dell’apprendimento culturale adeguato al binomio “società e istituzioni” che ha permesso a donne e uomini del dopoguerra di divenire veri e propri “statisti” sia sul fronte democristiano sia su quello del movimento comunista plurirappresentato da tendenze differenti nella logica della trasformazione sociale.

Non bastano i convegni di qualche giorno a sostituire le Frattocchie. Del resto, si potrebbe obiettare, non esistono nemmeno più i partiti nella forma in cui li abbiamo conosciuti almeno fino al passaggio dal pentapartito e dall’opposizione comunista al berlusconismo prima, all’alternanza tra i poli nella fase construens dell’identificazione delle nuove alleanze di riferimento per il neonato liberismo italiano.

Dal proporzionale al maggioritario, per tornare oggi ad una finzione del primo, rivendicata da forze che hanno truccato le elezioni con leggi ogni volta create ad arte, invocando il massimo della democrazia proprio nella libertà di stravolgere le regole del gioco adattandole alla bisogna del tutto particolare del singolo partito; anzi, sdegnando le minoranze a tal punto, da mostrare il “diritto di tribuna” come omaggiante concessione fatta alle formazioni escluse dall’indecente altalena dei blocchi solo formalmente opposti.

La crisi di governo attuale, per quanto il PD invochi un esecutivo “autorevole” (un’altra delle parole più abusate nella storia della politica universale), non potrà risolversi in un rafforzamento della compagine di governo mediante l’assorbimento di una parte dell’opposizione: Forza Italia, per diretta voce di Berlusconi, è stata chiara nel ribadire la non volontà di rompere il fronte delle destre innanzi ad un esperimento che un sapore di avventurismo e molte poche prospettive oltre i passaggi parlamentari tutti interni all’eccezionalità del periodo pandemico.

Per quanto il Movimento 5 Stelle possa essersi reso compatibile con le esigenze istituzionali e i compromessi di governo, una alleanza con Forza Italia lo snaturerebbe platealmente davanti alla storia grillina che si è retta sugli epiteti stigmatizzanti la figura del Cavaliere nero di Arcore (“psiconano“) piuttosto che sull’allontanarsi dalle tentazioni di unità tra populismo e sovranismo salviniano.

Non sempre ciò che veramente conta ha valore dirimente in un rapporto tra due partiti esattamente opposti tra loro: spesso sono frizzi e lazzi a lasciare il segno, mentre, pur proclamandosi “rivoluzionari contro la casta“, si finisce per farne parte a pieno titolo con l’alibi manifesto di un retroterreno anti-ideologico che, a detta dei grillini, sarebbe la migliore difesa nel marcare le distanze rispetto ad ogni altra realtà politica del Paese.

Dunque, non resta per Conte se non la speranza che nelle prossime 48 ore, con il passaggio alla Camera come prima verifica di adesioni al nuovo salto in alto del governo, a sostegno dell’esecutivo arrivino i voti di alcuni ribelli di Italia Viva: il tutto mentre il virus incalza, finisce l’era della Merkel, Biden diventerà presidente degli Stati Uniti e noi ricorderemo il centenario del PCI.

E’ davvero ben misera cosa la crisi di governo. Per dirla con Manzoni: «…un vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro…». Staremo a vedere.

MARCO SFERINI

17 gennaio 2021

categorie
Marco Sferini

altri articoli