In Brasile, la maggior parte dei 190 mila morti per Covid hanno un colore e una classe sociale specifica: sono neri e poveri. Mentre il presidente e i movimenti No Vax negano la necessità e l’urgenza della vaccinazione di massa, le disuguaglianze razziali e sociali preesistenti si approfondiscono man mano che aumentano i contagi, evidenziando le disparità regionali, sociali, di genere, di reddito, educative e di accesso alla salute.
Ciò è dimostrato da diversi studi che si sono concentrati sul tema come quello dell’Istituto Pólis. Secondo un sondaggio dell’istituto condotto nella città di San Paolo, il tasso di mortalità delle persone nere e meticce per il Covid tra marzo e luglio di quest’anno è stato di 172 morti ogni 100 mila abitanti, mentre il tasso di mortalità della popolazione bianca è stato di 115 morti ogni 100 mila.
Emblematico il primo caso di una persona deceduta per il Covid-19 in Brasile: il 17 marzo, una cameriera nera di 63 anni, precedentemente affetta da diabete e ipertensione, è morta a causa del virus dopo essere stata infettata dalla sua datrice di lavoro appena arrivata da un viaggio in Italia. «È stata la classe media e alta, i turisti o persone d’affari venute dall’Europa, a introdurre il virus in Brasile.
Poi la pandemia ha raggiunto la periferia, dove il lavoro a distanza, il distanziamento sociale e persino i sistemi igienico-sanitari non sono una realtà per molte persone», spiega Eliseu Alves Waldman, professore nel dipartimento di epidemiologia dell’Università di San Paolo (Usp). Un altro fattore aggravante, secondo Waldman, sono le precedenti complicazioni di salute collegate a una condizione socioeconomica inferiore, come sovrappeso, malattie cardiache, malattie respiratorie e fumo, più diffuse tra la popolazione nera e periferica.
Secondo Afro, un centro di ricerca e divulgazione sulle questioni razziali legato al Centro Brasiliano di Analisi e Pianificazione (Cebrap), proprio all’inizio della pandemia, ricercatori e rappresentanti dei movimenti sociali avevano già rilevato della relazione tra il fenomeno e la vulnerabilità delle popolazioni nere, povere e autoctone. La pressione di questi gruppi ha portato alla pubblicazione dei primi dati relativi a infezioni, ricoveri e letalità per il Covid-19, organizzati per etnia.
«È una disuguaglianza storica che viene sempre replicata, anche quando si hanno risultati importanti come l’universalizzazione della salute pubblica. A seguito dell’introduzione del Sus (la piattaforma di salute pubblica del governo federale brasiliano), le condizioni di salute delle popolazioni periferiche sono migliorate, ma la disparità tra bianchi e neri continua», afferma Jaciane Milanezi, sociologa e ricercatrice di Afro-Cebrap.
Milanezi spiega che la popolazione nera è quella che utilizza maggiormente la struttura del Sus, che offre cure primarie, considerata esemplare e ben capillarizzata nei comuni e territori brasiliani. Tuttavia, a causa di una mancata politica nazionale coordinata, questo servizio non è stato utilizzato al massimo delle sue potenzialità. Inoltre, il tempo di accesso agli ospedali, forniti di servizi specialistici, è un altro fattore di rischio: ad esempio, i residenti della periferia di San Paolo impiegano, in media, 71 minuti per raggiungere un ospedale con un centro di terapia intensiva.
Gli studi di Afro-Cebrap evidenziano anche la fragilità economica dei disoccupati e dei lavoratori informali, per lo più neri. Nei primi mesi della pandemia, il 70% dei posti di lavoro persi era informale. «Il lavoro a distanza è associato a un certo livello professionale ed educativo. E la percentuale dei bianchi laureati all’università è il doppio di quella dei neri», dice la ricercatrice.
Tra i disoccupati, le donne nere costituiscono il gruppo che ha cercato di meno lavoro nel 2020, perché si occupano di più del lavoro di cura all’interno delle proprie case, essendo chiuse da marzo la maggior parte degli asili nido, delle scuole per l’infanzia e delle istituzioni educative.
«Tutte le precauzioni – restare a casa, indossare la mascherina, lavarsi le mani – sono possibili per una parte della popolazione. Molti movimenti sociali hanno portato cibo, sapone, acqua e alcol in gel a comunità che non avevano accesso a questi articoli», riferisce Milanezi. La sociologa sostiene che l’assenza di un coordinamento nazionale per far fronte alla pandemia, associata allo smantellamento delle politiche specializzate per le esigenze di queste popolazioni, porta al persistere della disuguaglianza.
«Le decisioni su come gestire la pandemia vengono prese a livello locale. Alcune funzionano, altre no, come nelle città che hanno ridotto la circolazione del trasporto pubblico, generando così un maggior affollamento sugli autobus disponibili. Ci sono molte iniziative importanti dei movimenti sociali e del settore privato che svolgono il lavoro non fatto dallo Stato. Ridurremo la disparità razziale solo quando lo Stato riconoscerà la sua esistenza», conclude Milanezi.
GLORIA PAIVA
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