Va bene che i quotidiani on-line diano la notizia del ritrovamento di un termopolio nella Pompei romana, con persino frammenti di cibo di oltre duemila anni fa…
Ma che poi, negli articoli interni, chiamino tutto ciò lo “street food” dell’epoca, ebbene spegne ogni poetico e incantevole riferimento ai particolari di questa straordinaria scoperta…
E’ un “termos-poleo“, un vendere cibi caldi. Da strada? Certo che sì, ma i romani si sedevano e praticavano raramente il cosiddetto “asporto“, pardon… dovrei dire forse “take-away“! Dunque siamo davanti ad una antica “tavola calda“… Che dite? Anche questa definizione è desueta, anacronistica?
Può essere che sia così, ma a me piace e la utilizzo fuori dalle mode parolaie che pretenderebbero di farmi cambiare centinaia di termini italiani, di cui assaporo proprio il gusto che associo ad immagini precise di luoghi e di persone tanto del passato recente quanto del presente che viene divorato, istante per istante, dal futuro imminente.
La civetteria con cui si pronunciano certi lemmi è indisponente, violenta la lingua italiana, ma rende ridicoli soprattutto coloro che, per fare parte della gran massa che segue le coordinate giornalistiche delle mutazioni che fanno tendenza e magari fanno pure vendere qualche copia in più, pronunciano gli inglesismi storpiandoli o accentandoli malamente.
Non è solamente una questione di difesa della lingua italiana: è una questione davvero di più ampio raggio culturale, di concezione della comunità sociale in cui si vive e di capacità di preservare un patrimonio di idee, di cose che hanno una loro storia nei nomi che sono stati dati e che fanno parte della nostra vita quotidiana.
Si potrà anche chiamare la classe operaia “working class“, se fa figo… ma rimane sempre la classe dei lavoratori. Se poi non la si riconosce come tale e si pensa che le classi sociali non esistano più e siano una fisima dei comunisti rimasti, allora il problema non si pone… Ma questo è un capitolo a parte, con tanti altri paragrafi di meschinità e di volute cecità antisociali.
E poi, ancora, basta con la moda dei “governatori“! Non siamo anglosassoni e non lo saremo mai. Non ne abbiamo la storia, la finezza, la durezza anche e la caparbietà. Ci ha riscatto la Resistenza antifascista in ciò, ma sembra che ve ne stiate progressivamente dimenticando. Ed anche in questo caso, non si tratta di mera storia, ma di identità sociale, politica, culturale nel più vero senso dei termini.
Gli inglesismi non tradotti sono un prodotto del doversi sentire mondialisti e globalizzati usando il linguaggio internazionale dell’alta finanza e degli scambi commerciali. Sono la mediocrità di un vivere moderno che è facile a dirsi e a farsi. L’esatto opposto del comunismo.
(m.s.)
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