Se Renzi e Salvini dialogano per il “bene della Nazione”…

Nel nome ipocrita del “bene della Nazione“, quello con la enne di nazione rigorosissimamente maiuscola, si può avere un buono per assistere a qualche altro spettacolo di trasformismo politico...

Nel nome ipocrita del “bene della Nazione“, quello con la enne di nazione rigorosissimamente maiuscola, si può avere un buono per assistere a qualche altro spettacolo di trasformismo politico tutto italiano.

Benvenuti, dunque, dietro le quinte e sul palcoscenico: la visita è gratuita, per l’appunto. Non si paga niente: intanto il copione è una di quelle sceneggiature del teatrino che vede da una parte chi vuole più potere per rappresentare in scena gli interessi scalpitanti di grandi gruppi industriali, padroncini del Nord-Est e molti altri garanti di una stabilità di un eventuale nuovo governo; dall’altra chi cerca di farsi spazio per tornare ad essere protagonista di una stagione centrista, spostata ampiamente a destra ed evitare di essere surclassato nel logorio della vita moderna da pandemia.

Quello che c’è non va bene? Come mai? Persino a dei critici risoluti come noi comunisti, che non le mandano a dire ad un esecutivo liberale e anche un po’ populista, è evidente che il governo, pur stando nella illogica logicità del rituale ricorso alla formula della setta dei responsabili: «Meglio il meno peggio e peggio il meno meglio», ha provato a gestire l’emergenza sanitaria dal punto di vista rigorista di Speranza e Boccia, dando ascolto alla scienza piuttosto che alle trepidanti esigenze del mercato.

Questo non esime dal porre tutta una serie di critiche che riguardano non solo l’estate e l’autunno del Covid-19, la seconda ondata e così via, ma principalmente il rapporto di sudditanza nei confronti di Confindustria tanto nei capitoli rubricati alla voce “coronavirus” quanto quelli che si possono leggere se si fa riferimento a tutta una mancata presa di posizione politica in chiave sociale per limitare veramente i danni economici più rilevanti che riguardano chiaramente chi non ha capitali scudati, al sicuro in grandi caveau bancari, ma solo un misero salario, un lavoro precario, una bicicletta uno zaino quadrato per portare in giro pizze, sushi e piadine.

Il teatro dell’assurdo, che è proprio per questo spettacolo del tragico reale, adesso si prepara a mettere in scena la commedia del dialogo tra Matteo Renzi e Matteo Salvini. Si potrebbe intitolare: “I due Mattei“, oppure “Matteo e più Matteo“. O ancora: “Non c’è due senza Matteo“. Visto che siamo alle porte del Natale, Italia Uno potrebbe cambiare per una volta la sua programmazione e trasmettere: “Una poltrona per due Mattei“.

Per gli amanti dei titoli alla Wertmuller: “Renzi e Salvini, fatto di trasformismo per un governo orfano. Si sospettano moventi politici“. In alternativa, siccome si tratta di una vicenda che ha del verboso, può trovare spazio anche un titolo simile: “La fine del governo nel nostro solito Parlamento in una notte piena di liti“.

Bene, il giro del teatro lo state facendo, i titoli li avete in mano, possiamo cominciare a scrivere la sceneggiatura di questa trama che si preannuncia intricata, come un melodramma tipico italiano, però con qualche eccezione musicale, con un crescendo rossiniano ad esaltare i passaggi virulenti, le spregiudicate parole che si rimpallano i protagonisti: Meloni che si stupisce di Salvini e si guarda smarrita intorno. Che vuole fare il capitano? Vuole ancora stare nel centrodestra o ha per caso nella capoccia di rimaritarsi con i grillini e di provare a fare un governo imbellettato maldestramente con l’etichetta dell'”unità nazionale“? Tanto vale per i vini di tutte le stagioni: nessuno si accorge del sapore del vino.

Il contenuto non conta: ciò che importa è che si legga bene che quell’acido nettare della caduta degli dei è lì imbottigliato per il bene nazionale, per salvare il Paese dalle derive accentratrici di Conte, dei suoi DPCM e dalle tentazioni di garantire all’attuale maggioranza (fatto salvo per Italia più morta che viva) un consenso sociale frutto dei tanti interventi che normano la distribuzione di aiuti sostanziosi a numerose categorie del mondo del lavoro: primi fra tutti gli appartenenti all’ambito ceto medio del Paese. Si sa che centro e moderna piccola borghesia imprenditoriale fanno gola alla stragrande maggioranza dell’agorà politica.

Se ne deve per forza ridere un poco, mentre si prende purtroppo seriamente la giravolta di posizioni cui tocca assistere in questi frangenti: la verifica sullo stato, l’assetto e la tenuta del governo pare che Conte voglia farla in settimana e comunque è escluso che il governo possa aspettarsi fuoco amico da altre parti che non siano quelle renziane. Certamente è curioso lo stop al ricorso al voto da parte di Salvini: ne ha ben donde Meloni a stropicciarsi gli occhi e ad esserne incredula.

I voti di Forza Italia in sostegno all’esecutivo sul MES, i balenati soccorsi azzurri in caso di crollo della maggioranza persino sul Recovery Fund sono niente se paragonati alla novità leghista delle ultime ore. Soprattutto se, come ricordano – certamente maliziosamente! – i giornali, Di Maio in una riunione dello scorso 4 dicembre, presenti duecento deputati e senatori pentastellati, si è lasciato andare nel dire che, governo o no, lui rimarrà ministro.

Che significa? Che abbiamo l’uomo per tutte le stagioni? Che è una maledizione da cui non ci si può affrancare se non facendo ricorso ad un rito sciamanico? Che le carte sono già sul tavolo della partita ma i giocatori devono ancora capire a quale posto sedersi?

Intanto il Covid-19 fa la sua corsa, non si ferma affatto: rallenta, ma guarda con piacere ad una crisi di governo. Purtroppo, in mancanza di una federazione umana dei produttori, di un meraviglioso stile di vita anarchico, dobbiamo tenerci un governo e farlo cadere ora sarebbe davvero un gesto quasi da strategia della tensione, per alterare la disperazione di tanta parte della popolazione che si sta immiserendo e che non immagina il futuro a breve termine nemmeno dopo la puntura del vaccino, nemmeno con i ristori previsti ormai da cinque decreti leggi urgentissimi.

I rimestatori nel torbido hanno trovato la loro brodaglia di coltura: si parlano perché il linguaggio è comune, simile. Si intendono anche a cenni, perché oltre un certo livello di comprensione non possono proprio arrivare. Ma rischiano di fare danni enormi e di calare il Paese in un doppio dramma, oltre ogni palcoscenico dell’assurdo, senza fare alcun forno in sala: nessun “tutto esaurito“. Gli spettatori non ci sono. Il copione è già visto. La stanchezza da pandemia è tanta e non si vede la fine del lungo tempo cui non si era preparati.

Avevamo sperato che la pandemia si riducesse, al massimo, a pochi mesi. Che ci avrebbe lasciato in pace e che saremmo tornati a discutere anche di Renzi e Salvini che si fanno gli occhi da cerbiatto senza più le mascherine sui nostri visi, senza più respiri affannosi, senza risse dei nostri giovani la cui marginalità aumenta e con essa un disagio psicologico e materiale sempre più imponente, sempre più irrimediabile.

Invece, se dovesse essere crisi di governo, l’Italia si troverà cornuta e mazziata: nel buio di un inverno molto lungo, con un piano di vaccinazione straordinario mai visto nella storia del Paese che ha bisogno di una organizzazione che veda in prima istanza proprio l’esecutivo a coordinarla, impedendo che le Regioni diano vita ad una sorta di concorrenza tutta interna per l’accaparramento delle dosi, per la loro distribuzione capillare, evitando speculazioni di ogni sorta.

Chi è di destra solitamente prende applausi da destra: è normale che Renzi, finita la sua allocuzione in Senato, sia stato oggetto di dimostrazioni di assenso dai banchi di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Forse, alla luce di quanto emerge dalle cronache parlamentari, è anche normale che Salvini si sia felicitato con lui personalmente: «Bravo, hai ragione su tutto!», avrebbe detto il leader sovranista all’ex rottamatore.

Se si tratta di prove di dialogo, lo capiremo nei prossimi giorni, quando Conte avvierà la verifica di governo e se questa sarà portata davanti al Parlamento magari con un voto di fiducia proprio sul Recovery Fund o su nuove misure dei DPCM in vista del tanto agognato diritto di festeggiare Natale e Capodanno.

Ma c’è davvero qualcosa per cui festeggiare? Il Covid-19? La situazione sociale? Quella politica e strettamente istituzionale? La scuola aperta, mezza chiusa, la famigerata “DAD“? Gli ospedali che riprendono fiato grazie ai morti da Covid? I tamponi, le mascherine, quelle chirurgiche le FFP2 e P3? La guerra commerciale dei vaccini? La speranza di avere il vaccino e di non avere effetti collaterali?

Va bene, ho capito… Cerchiamo di essere ottimisti, non guardiamo sempre e soltanto il bicchiere mezzo vuoto. Va bene. Lo so, i comunisti se non sono ottimisti per natura politica e sociale, che diamine di comunisti sono? Siamo, quindi ottimisti. Fatto. Adesso possiamo tornare a deprimerci un pochino per non dimenticarci che non va tutto bene. Che non è andata bene e che, se cade il governo, nonostante non sia il nostro (nemmeno lontanamente), sarà anche peggio.

MARCO SFERINI

13 dicembre 2020

foto: screenshot

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