Dalle mascherine abbassate sotto al naso a quelle sotto al mento, mentre si cammina in città dove non c’è nessuna garanzia di mantenere un metro, un metro e mezzo di distanza, si vede la presa di (in)coscienza delle persone.
C’è chi fuma allegramente e se ne infischia di chi gli sta accanto. C’è chi dall’automobile sputa la cincingomma fuori dal finestrino, e meno male che tu stai dietro con la moto…
C’è chi incrocia gli occhi da sceriffo che ti vengono quando vedi qualcuno con soltanto la bocca coperta, ed allora alza la mascherina al livello superiore repentinissimamente, quasi impaurito. Ma sono rari esemplari di sensi di colpa…
C’è chi parlotta allegramente davanti ad un’edicola o ad una agenzia immobiliare: naturalmente con mascherina nel sottomento.
C’è chi telefona e pensa che la voce non passi attraverso quei tre strati leggeri di microforato filtrante, così parla, magari inveisce e sparge ovunque il suo dire e il suo maledire, proteggendo solo la mascherina dalle goccioline divenute così pericolose.
C’è chi se ne infischia beatamente e lo dice. Lo apprezzo quasi di più rispetto agli altri: almeno non fa finta di essersi dimenticato, di non sapere dove ha la mascherina al pari di quando si cercano gli occhiali e li si ritrova sulla testa tra i capelli cespugliosi (beato chi ce l’ha…).
C’è poi chi porta la mascherina correttamente e rispetta sé stesso, gli altri e pure qualcuno in più.
C’è chi la porta da pedone, da centauro, persino da camionista. Questi sono gli indispensabili: quelli che vengono tacciati come cretini, idioti e eccessivamente prudenti.
Ma sono quelli che hanno compreso che 580 morti in un giorno non sono cifre: sono persone. Come noi. Troppi si sentono invulnerabili, armati di qualche invisibile corazza che li protegge al di là delle parole della scienza, al di là dei dubbi e della continua ricerca.
Ma nessuno è al sicuro. Davvero nessuno. Stateve accorte…
(m.s.)
Foto di Gerd Altmann da Pixabay