«Il taglio dei parlamentari consegna a noi e a me una responsabilità molto grande, ovvero quella di far trovare le camere pronte nella prossima legislatura e possiamo farlo con la riforma dei regolamenti» dice il presidente della camera dei deputati Roberto Fico. E assicura che «a breve inizieremo questo lavoro molto corposo». Ma non ha ancora fatto il primo passo, convocando la giunta per il regolamento di Montecitorio. Anzi, non ha ancora nominato il comitato ristretto in seno alla giunta che – era stato deciso diversi mesi fa – avrebbe dovuto istruire il lavoro di riforma.
Sono molti, circa una ventina, gli articoli del regolamento della camera che devono essere inevitabilmente adeguati al taglio di 230 deputati – e lo stesso accade a palazzo Madama per il taglio di 115 senatori elettivi – pena l’impossibilità di far partire la nuova legislatura. A ottobre scorso, quando ci fu l’ultimo passaggio parlamentare della riforma costituzionale, si decise di fare le cose con calma, aspettando che il taglio diventasse definitivo. Ma la richiesta di referendum ha rinviato la promulgazione della legge, poi la pandemia ha rallentato il lavoro parlamentare, infine è slittato anche il referendum. Così un anno è passato invano da quando i capigruppo di maggioranza hanno firmato l’impegno a rivedere i regolamenti. Adesso circola una certa preoccupazione, perché il lavoro da fare non è poco e perché le revisioni dei regolamenti necessitano un accordo politico solido. Devono infatti essere approvate a maggioranza assoluta e con il voto segreto.
Come se non bastasse, il Pd pensa di cogliere l’occasione per completare l’opera che era rimasta sospesa sul finire della scorsa legislatura. Quando solo il senato era riuscito a riformare il suo regolamento, mentre alla camera i 5 Stelle affondavano sul finale la proposta dell’allora presidente Boldrini. Si trattava di novità – come quelle approvate al senato – che rendono più difficile il passaggio degli eletti da un gruppo all’altro e che soprattutto favoriscono il governo e la maggioranza parlamentare, limitando lo spazio per l’ostruzionismo dell’opposizione.
Allargare oggi il perimetro dell’intervento sui regolamenti rischia di complicare le cose. Anche perché i 5 Stelle ne approfitterebbero per aggiungere al menu le loro tradizionali ricette: Di Maio ha giusto ieri annunciato iniziative contro i parlamentari «voltagabbana» e «assenteisti». E invece sono tantissime le disposizioni del regolamento, soprattutto alla camera, che richiedono adeguamenti urgenti. Perché non prevedono frazioni dell’aula, come tali applicabili rispettando le proporzioni sia al vecchio totale di 630 che al nuovo di 400 deputati, ma indicano quorum numerici. Ad esempio per costituire un gruppo (20 deputati), per comporre le giunte per il regolamento, le autorizzazioni e le elezioni (10, 21 e 30 deputati), per proporre argomenti non all’ordine del giorno (30 deputati), chiedere l’urgenza di un progetto di legge (10 deputati), presentare subemendamenti (30 deputati), presentare mozioni (10 deputati).
Ci sono poi altre questioni non aggirabili, come la dimensione dell’ufficio di presidenza che oggi può arrivare a 18 parlamentari (su 200 senatori sarebbe un’enormità). E soprattutto bisognerà decidere se accorpare o meno le commissioni permanenti che adesso sono 14 sia alla camera che al senato. Al senato sembra inevitabile, altrimenti rischierebbero di lavorare con appena quattro o cinque presenti, ma la conseguenza sarà quella di avere senatori commissari meno specializzati e meno competenti sulle varie materie. Alla camera si potrebbe evitare l’accorpamento, magari prevedendo come al senato la possibilità per un deputato di un gruppo piccolo di partecipare a due o tre commissioni diverse. Ma in questo modo si perderebbe la simmetria con i lavori della camera alta. A palazzo Madama la giunta per il regolamento ha deciso di fare un ciclo di audizioni di esperti sulle modifiche indispensabili. All’interno della giunta, le proposte saranno presentate da un comitato ristretto di sei senatori, tre di maggioranza e tre di opposizione. La presidente Casellati deve ancora sceglierli.
ANDREA FABOZZI
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