“Le Idi di marzo” è un film che dovrebbero vedere tutti: almeno in tanti. La spietata concorrenza elettorale americana è soltanto il fenomeno apparentemente ignorato, occulto e carsico di una società che invece ne è manifestamente cosciente.
Il “mondo della politica” che è essenzialmente “mondo di potere“, rispondendo alle classi dirigenti economiche, deve essere spietato nel far coincidere il “veramente falso” che è alla base di molti discorsi presidenziali, di deputati e senatori, con il “falsamente vero” che è la superficie di quei proclami, di tante promesse, di disincantamenti di massa creati in convenzioni pubbliche, tramite la televisione, con il tremendo supporto dei “social network“, esaltatori della stupidità, di un egoismo e di un edonismo protagonistico esasperato ed esasperante.
Anche il più innocente degli organizzatori di qualunque campagna elettorale, per lo meno ai livelli della corsa alle primarie dei due partiti che da sempre si contendono la presidenza della Repubblica a stelle e strisce, finisce per dover assecondare le trame, i sotterfugi, quello spionaggio cialtrone che mira a sovvertire la verità, con la finzione dei sondaggi, con le mezze parole di dichiarazioni evasive, che tutto dicono e tutto negano; anche il più sincero sostenitore di un candidato deve avere farsi le ossa della spregiudicatezza e sostituire la sua passione politica con la prima se vuole veramente sopravvivere in quell’ambiente.
Fa parte di un sistema che si è consolidato modernamente con l’evolversi degli Stati nazionali e costituzionali: quelli che, dopo i secoli delle monarchie assolute, hanno intrapreso la strada della ricerca del consenso popolare facendo credere proprio al popolo di essere sovrano al posto dei sovrani e di poter decidere mediante una delega data ai suoi rappresentanti.
E’ la democrazia costituzionale, liberale, oggi più liberista, ma è sempre una contraddizione irrisolvibile in questo sistema economico: al massimo, votando, possiamo aspirare a migliorare la regolamentazione delle tasse, ad avere una più equa redistribuzione della ricchezza prodotta; possiamo persino fare scelte importanti, proprio come il mantenimento della democrazia stessa nel nostro Paese, senza vederla spazzata via – nel nome della democrazia e dello “snellimento dei processi istituzionali” – da veramente false riforme della Carta del 1948 che pretendono di disequilibrare i poteri dello Stato e fare di quello legislativo magari non più un bivacco di manipoli, ma pur sempre un luogo di ratifica delle decisioni governative.
L’attacco alla Costituzione e al Parlamento viene proposto come una priorità per smantellare una “casta di potere” di uno Stato “realmente formale” che obbedisce, per sua natura, ad uno Stato “formalmente reale“: il suo epifenomeno strutturale economico, finanziario.
Nella sua “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico“, Marx mette a nudo tutte le evidenti contraddizioni tra le aspettative che si possono nutrire nella completa dedizione allo Stato costituzionale come unico regolatore della politica di emancipazione delle classi sociali sfruttate, dei lavoratori innanzi tutto.
Scrive il Moro: “Lo Stato costituzionale è lo Stato in cui l’interesse statale, in quanto reale interesse di popolo, c’è soltanto formalmente, e esiste come una determinata forma accanto allo Stato reale. L’interesse dello Stato ha qui formalmente ripreso realtà in quanto interesse del popolo, ma deve anche avere soltanto questa realtà formale. Esso è divenuto una formalità, una cerimonia“.
Si tratta del rapporto tra struttura e sovrastruttura, che dovremmo sempre avere bene a mente quando riteniamo che la politica istituzionale di un partito possa essere la sola nella sua azione volta al cambiamento sociale: fisiologizzare questo aspetto, tutt’altro che secondario, ha cambiato l’identità di tante forze politiche comuniste che, pur di governare i processi “reali“, sono finiti ad essere parte di quel formalismo di Stato che li ha resi del tutto indistinguibili dal resto delle formazioni liberali e liberiste.
Mantenere una distanza critica tra la politica istituzionale e la politica sociale di un partito comunista non significa rendere questi due compiti di impegno concreto antitetici tra loro. Anzi, l’esatto contrario. Soltanto mantenendo separati i due campi e consentendone l’incontro solamente quando è il lato sociale a reclamare cambiamenti, quindi a cercare la sponda istituzionale chiaramente e incontrovertibilmente riformatrice, si eviterà la pericolosa spirale che avvolge nel minimalismo dell’oggi il massimalismo del domani.
La cosiddetta “morte delle ideologie“, oltre che dalle moderne forze populiste, è invocata da quanti provano a cancellare le categorie sociali della politica: destra, centro e sinistra non sono solamente settori del Parlamento in cui sedere per riconoscere i diversi partiti di riferimento; sono, semmai, punti di osservazione del reale che prescindono dal formale e che, giustamente, tendono ad influenzarlo.
La battaglia moderna delle parole ha divelto ogni confine ragionevole e ragionato sul perché ci si definisca “di sinistra” piuttosto che “di destra“. Esistono ancora delle “macro ragioni” che, pur delineandosi oltre la zona di indistinzione dei colori politici, che si è molto dilatata nel tempo fino a poterla osservare con un cannocchiale e nemmeno più ad occhio nudo, socialmente e civilmente delineano dei tratti assoluamente inconciliabili tra sinistra e destra.
Ma per arrivare a riconoscere le differenze tra una politica di sinistra e una politica di destra bisogna abbandonare il terreno della contraddizione di classe, che non viene peraltro citata da nessuno; bisogna dimenticare che esistano sfruttati e sfruttatori e, grazie alla battaglia delle parole, potendo chiamare lo sfruttatore “imprenditore” (nemmeno più “padrone“) e lo sfruttato “dipendente“, magari “collaboratore aziendale”, diventa molto semplice anche per tutto un vasto settore di veramente falsa sinistra potersi dire tale facendo le esatte, identiche cose che farebbe la destra se governasse.
Ancora Marx, in riferimento all'”illusione metafisica” dello Stato: “L’elemento costituente è la menzogna sanzionata, legale, degli Stati costituzionali: che lo Stato è l’interesse del popolo o che il popolo è l’interesse dello Stato. Questa menzogna si scoprirà nel contenuto. Essa si è stabilita come potere legislativo, appunto perché il potere legislativo ha l’universale come suo contenuto, è più cosa del sapere che del volere, è il potere metafisico dello Stato“.
Fondamentalmente questa è una critica rivolta a chi pensa che mediante il versante istituzionale sia possibile, a piccoli passi, arrivare ad un cambiamento radicale della società: da capitalista a….? Non si sa bene: chi ha invocato – e tutt’ora invoca – il socialismo come alternativa allo “stato di cose presente“, quando ha imboccato la via riformista, per un certo tempo ha mantenuto una autonomia critica nei confronti anche di sé stesso, come partito, quando sedeva al governo o prendeva decisioni da posizioni di minoranza insieme alle maggioranze liberali (sempre prima) e liberiste (sempre oggi).
Ma poi è accaduto un fenomeno di evoluzione involutiva che ha fagogitato i partiti della sinistra riformista: presi in trappola nella sacca circondata da una manovra a tenaglia come quella dell’Armata Rossa a Stalingrado. Da un lato la seduzione del potere, dall’altro la seduzione delle comodità materiali che quel potere dava grazie alle prebende dei veri comandanti del vapore: gli illustrissimi signori imprenditori e finanzieri.
Ci viene in aiuto sempre Marx e con una lucidità di analisi disarmante per quanto attuale risulta ancora essere: “Consideriamo ora il sistema degli Stati e il sistema rappresentativo. E’ un progresso della storia che ha mutato le classi politiche in classi sociali, in modo che, come i cristiani sono eguali in cielo e ineguali in terra, così i singoli membri del popolo sono eguali nel cielo del loro mondo politico e ineguali nell’esistenza terrestre della società”.
Un processo di rapporto tra struttura e sovratruttura che inizia con le monarchie assolute e che viene terminato dalla Rivoluzione francese con un approccio tipicamente borghese: “…fece delle differenze di classe della società civile soltanto delle differenze sociali, delle differenze della vita privata, che sono senza significato nella vita politica. Fu con ciò compiuta la separazione di vita politica e di società civile“.
La moderna nascita di quelle che impropriamente – e anche ingiustamente – vengono definite “caste“, come si vede risale molto più indietro nel tempo rispetto all’inganno della loro formazione in epoca contemporanea. La plurimillenaria endemica vocazione all’uso dei beni pubblici per fini privati, la corruzione nei suoi mille aspetti e ramificazioni, ha subito nel tempo mutazioni enormi: con la trasformazione della società, quindi dell’economia, di pari passo si sono adattati tanto i nobili (e benevolmente ingneui) intenti di creare una politica onesta, quindi degli Stati onesti, quanto tutti i tentativi di sfruttare ogni res publica contro il popolo ma sempre, soltanto nel nome del popolo.
“Le Idi di marzo” con Gosling e Clooney traducono tutte queste contraddizioni del potere formale (della politica, dello Stato) usato dal potere reale (dell’economia) in un dramma che emerge tutto quanto nel momento in cui la coscienza si dibatte tra piena consapevolezza di un’etica sociale, pubblica che si scontra con una controetica profittatrice, priva di idee e di ideologie, tutta protesa a raggiungere la sala ovale della Casa Bianca.
La congiura per arrivare al tradimento delle propri idee e delle proprie passioni nel nome della più piena e ragionevole adesione alla pragmatica (e sistemica) visione “oggettiva” della realtà, quella in sostanza proposta dal “pensiero unico“, sono manna per chi teme che un granellino di sabbia inceppi tutto l’ingranaggio. Sarà un po’ giacobina questa considerazione, ma molto meglio così. Anzi, sicuramente meglio così.
Nel provare, mestamente, a ricomporre i cocci del movimento comunista e della vera sinistra qui in Italia, dovremmo tenerne conto. Anche del film, ma soprattutto della verità incontestabile che un partito che si rivolge soltanto al quadro istituzionale per provare a sostenere i diritti dei più deboli è un partito già sconfitto.
MARCO SFERINI
12 agosto 2020
foto: screenshot YouTube