Sono sconvolgenti le cifre che riguardano la perdita di potere di acquisto dei salari. Una analisi economica elaborata dal Servizio Lavoro, Coesione e Territorio della UIL (dai dati forniti dall’INPS), mostra come i lavoratori dipendenti in Italia abbiano perso 4,8 milioni di euro. Si tratta della somma della Cassa Integrazione del periodo di chiusura totale dovuto al Covid-19 e che ora pesano sul costo della vita con una riduzione della busta paga che oscilla dal 18 al 37%.
Fatti alcuni conti in cifre assolute, si tratta di una decurtazione che va dai 560 euro per i lavoratori con Cassa integrazione normale e che arriva addirittura a quasi 1.000 euro per i lavoratori con Cassa integrazione a zero ore. Un vero e proprio macigno sulla sopravvivenza di oltre sei milioni di dipendenti, delle loro famiglie, con un inevitabile fenomeno di riversamento a cascata sull’economia complessiva del Paese.
Per dare l’idea di un nucleo familiare con un lavoratore a Cassa integrazione a zero ora, si passa da una retribuzione pre-Covid di 1.440 euro ad una post-Covid di 440 euro: se ne vanno in fumo tra il taglio del monte orario mensile, tredicesima e quattordicesima, per l’appunto un migliaio di euro.
Significa che almeno 1 italiano su 6 si trova oggi su una soglia di povertà estrema, visto che i risparmi che gli consentirebbero di ammortizzare autonomamente l’impatto della crisi – ci dice questa volta l’ISTAT – arrivano appena appena a coprire tre mensilità. Se è pur vero che il 70% degli italiani scampa, quanto meno, dalla piaga dell’affitto della casa, è altrettanto veritiero il fatto che molti acquisti di abitazioni sono fatte tramite mutui pluridecennali e che ogni mese la rata va pagata.
Se è pur vero, anche in questo caso, che con il Decreto “Cura Italia” il governo ha messo mano alla proroga del pagamento dei mutui, estendendo la platea dei beneficiari da mutui da 250.000 a 400.000 euro, resta comunque la prospettiva di un saldo che non viene estinto, ma soltanto rimandato nel tempo.
Per questo, le procrastinazioni si rivelano utili sul momento ma, nella previsione della fine del blocco dei licenziamenti e della Cassa integrazione, è evidente che aumenterà il disagio sociale e che l’autunno che si avvicina non promette affatto niente di buono sul terreno sociale. Soprattutto davanti alle richieste di Confindustria e dei grandi settori del commercio che, pur avendo anticipato in alcuni frangenti i fondi per gli ammortizzatori sociali previsti dal governo, hanno anche fatto la voce grossa per ottenere quote a fondo perduto per le imprese.
Dunque, ai lavoratori le proroghe dei debiti, agli imprenditori soldi non “a pioggia“, mirati, senza ovviamente alcun interesse, senza nessuna contropartita per lo Stato che possa essere rimessa nel circolo dell’economia pubblica a vantaggio di tutta la popolazione. Solo prestiti da non restituire. Un po’ come i salvataggi dai crolli finanziari, dagli azzardi borsistici di industrie non certo irrilevanti che sono sempre e soltanto state riportate a galla con ciambelle di salvataggio che hanno inciso non poco nell’andamento pubblico dell’economia nel corso degli anni dopo il boom del dopoguerra.
Il mercato azionario fa finta che “tutto va bene, madama la marchesa“, con indici di profitto da investimenti che risalgono da due mesi a questa parte dell’oltre 30%: apparentemente senza una spiegazione ragionevole, mentre tutto precipita, mentre le grandi istituzioni transnazionali mettono mano a fondi insperati fino a pochi mesi fa. Tutto parrebbe riequilibrarsi se i valori delle azioni salgono e gli scambi si fanno più fitti. La borsa però sembra proprio essere completamente lontana dalla realtà e non ci su può affidare ai suoi indici per valutare l’andamento socio-economico del mondo, dei singoli continenti e delle più specifiche realtà nazionali.
In realtà, approfittando delle stime al ribasso del Fondo Monetario Internazionale sulle singole ricadute nazionali dell’emergenza Covid-19, provando a fotografare una istantanea delle conseguenze della pandemia che non corrisponde minimamente – basti vedere il nostro esempio italiano… – ai rapporti di forza e agli scontri di classe che si stanno per accentuare e dinamizzare in virtù del protrarsi dei tempi della crisi, il mercato finanziario delle borse di tutto il mondo tenta di speculare il più possibile proprio nella fase di acutezza della pandemia in determinati contesti internazionali: lo scontro tra Stati Uniti d’America e Cina, i rapporti tra Unione Europea e la costituenda “via della seta” asiatica; motivi per tenere vive e spumeggianti le speculazioni borsistiche ve ne sono a bizzeffe.
L’accentuarsi di un pauperismo dovuto anche al coronavirus, ma frutto pure di decenni di interventi strutturali nell’ambito del residuale stato-sociale prosciugato dalle politiche privatizzatrici e dal liberismo moderno, potrebbe portare a quella instabilità che il Ministro dell’Interno Lamorgese ha rimarcato ultimemente, paventando tanto gesti solitari (che naturalmente i grandi quotidiani etichettano come “anarchico-insurrezionalisti“) quanto proteste di massa ma sganciate dai classici corpi intermedi: sindacali, politici, culturali.
Del resto non vi è traccia in Parlamento di una adeguata proposta rivendicativa sul potenziamento dei salari, ma al momento permangono interventi di contenimento di una crisi economica dovuta ad una emergenza sanitaria che non è dato sapere quanto potrà proseguire nel tempo e, soprattutto, nei modi: le dinamiche del Covid-19 sembrano ancora poco comprensibili.
Le sue oscillazioni nella diffusione dei contagi sono condizionate indubbiamente dalle misure più o meno prese per contenere la pandemia, persino sul singolo buonsenso espresso dai cittadini che correttamente indossano le mascherine – anche in luoghi aperti – per aumentare un indice di reciprocità della protezione; ma è anche vero che determinate recrudescenze del virus sono possibili e che, sommate al quasi certo “autunno caldo” del lavoro e del non-lavoro, rischiano di diventare un denotare non così trascurabile per una instabilità economico-sociale che sarà riversata nuovamente sulle fasce più deboli della popolazione.
La tentazione di sfruttare tutto questo per ottenere maggiori consensi elettorali nelle elezioni amministrative regionali di settembre è grande: la lotta, già da ora, si predispone a mostrarsi come un fronte su schierare il peggior populismo e il peggiore armamentario della retorica e delle banalizzazioni sovraniste per esacerbare gli animi, per indirizzare le residue coscienze sociali verso risposte di destra a problemi sociali che invece avrebbero necessità di chiare, nette risposte progressiste, di interventi che capovolgessero il punto di osservazione molteplice (dell’emergenza sanitaria e di quella economica) per riconvertire la produzione pensando ad una espansione dei posti di lavoro e non alla semplice salvezza delle imprese legata a repentini licenziamenti e delocalizzazioni non appena cessato l’effetto dei decreti del governo.
La decomposizione del salario, il depotenziamento della domanda interna e la conseguente contrazione economica generale non possono essere risolte soltanto con nuovi tagli alla spesa pubblica o con il ricorso al MES che appare sempre più condizionato nel suo utilizzo, non tanto dai tassi di interesse che dovremo pagare qualora ne facessimo ricorso per interventi pubblici necessari, quanto per i rapporti tra gli stessi paesi dell’Unione Europea che sarebbero il codice di interpretazione delle regole tramite cui gestire proprio le cifre del “dovuto” una volta assunto il prestito.
Economisti anche non marxisti sostengono l’interpretabilità delle normative che circoscrivono lo strumento messo a disposizione dall’Europa per il presunto “salvataggio” dal tracollo da parte dei singoli Stati. La stessa sospensione delle condizioni reali del prestito, quelle per cui il MES è tanto temuto come fenomeno di strozzinaggio transnazionale, non è certificato che sia irreversibile in questo contesto e che non possa essere accantonata per far tornare in auge la originaria normativa capestro.
Le incognite economiche sono molte, quelle nel mondo del lavoro ancora di più, visto che rientrano nello sviluppo complessivo di relazioni internazionali che il virus ha pesantemente compromesso e reso fragili, mettendo il capitalismo davanti alla dura realtà della sua contraddizione permanente, massima e insanabile: garantire una vita dignitosa per tutte e per tutti, libertà, uguaglianza, il pane e le rose. E’ l’esatto contrario ciò che produce e alimenta.
Sarebbe ora di guardare non gli indici di borsa per valutare i pericoli cui va incontro una larga parte della popolazione italiana, europea e mondiale: miliardi di salariati vedono già oggi compromesso un futuro non di lungo termine, nemmeno di medio termine. Ma un futuro prossimo, tanto vicino al presente da esserne la diretta continuazione e la drammatica rappresentazione del domani che si specchia già nella disperazione dell’oggi.
Sarebbe bene evitare di assistere al saccheggio delle idee e delle contraddizioni sociali da parte delle destre, ricostituendo un intervento politico e sindacale anticapitalista, antiliberista. Un intervento che rivendichi la ricomposizione del salario nella sua pienezza, visto che i profitti accumulati nei caveau della banche dai padroni non sono fino ad oggi stati toccati dalla crisi. Del resto… non lo dicono anche le borse!?
MARCO SFERINI
10 luglio 2020
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