Gli Stati popolari hanno vinto la sfida contro il sole tropicale che surriscalda queste giornate romane e sono riusciti a riempire piazza San Giovanni di voci ed esperienze che nascono nelle tante battaglie in corso nel paese. La mobilitazione organizzata domenica scorsa dal sindacalista Aboubakar Soumahoro, che ha concluso con un discorso più da leader politico che da delegato dell’Unione sindacale di base (Usb), ha visto la convergenza di lavoratori, attiviste femministe ed ecologiste, chi si batte per i diritti civili e contro le attuali politiche migratorie.
«Da qui nasce un laboratorio che vuole coniugare visione e prassi – ha affermato Soumahoro – attraverso un “Manifesto per giustizia, libertà e felicità”». Sei le proposte, nella maggior parte dei casi tutte da definire: piano nazionale per l’emergenza lavoro; programma di edilizia popolare strutturale; riforma integrale della filiera del cibo; trasformazione radicale delle politiche migratorie; strategia per la transizione ecologica; misure proattive contro le discriminazioni e per l’uguaglianza.
L’iniziativa ha ricevuto grande attenzione dal settimanale L’Espresso, che ha dedicato la copertina al sindacalista italo-ivoriano e al «suo» quarto stato, molta meno dai quotidiani nazionali e dalla maggior parte delle forze politiche, forse spiazzate da un’operazione di cui non è ancora chiaro il segno.
Il giorno dopo tra i protagonisti che hanno portato in piazza battaglie reali e contenuti radicali si mischiano entusiasmo, aspettative e punti interrogativi sul futuro prossimo del percorso. «A caldo la piazza mi ha lasciato una sensazione positiva – afferma Tommaso Falchi, di Riders Union Bologna – C’è bisogno di ambiti di convergenza tra le tante cose che stanno accadendo. Gli Stati popolari hanno unito vertenze lavorative, movimenti, realtà sociali e dell’associazionismo. Devono rimanere uno spazio aperto e non proprietario. Il rischio è che qualcuno cerchi scorciatoie politiche o pensi di far nascere progetti a tavolino. Ci vuole un protagonismo ampio, magari già con un’assemblea a settembre».
Molti lavoratori intervenuti dal palco sono organizzati con Usb. «Sul tappeto ci sono questioni precise e spesso molto crude, a partire dalla lotta dei braccianti da cui è nata l’iniziativa – dice Guido Lutrario, dell’esecutivo nazionale di Usb – È stata una buona occasione per dare visibilità alla condizione di tanti lavoratori. Adesso bisogna tornare sul campo. Le affermazioni generiche non bastano. Gli eventi sono importanti ma senza organizzazione dei lavoratori non si riesce a incidere in lotte che sono lunghe e dure».
Tema trasversale è stato quello dell’emergenza climatica. L’intervento dei ragazzi di Fridays For Future (Fff) ha riscosso applausi e consenso. «Nei prossimi giorni torneremo a incontrare Soumahoro perché vogliamo portare il filo conduttore tra le diverse vertenze oltre la piazza – sostiene Marianna Panzarino, di Fff Roma – Serve un programma per non disperdere le forze».
Ampio spazio hanno avuto le battaglie sui diritti civili, con la richiesta di una riforma della cittadinanza che introduca lo ius soli e il consenso sulla legge contro l’omolesbotransfobia, e quelle per la trasformazione delle politiche migratorie, dal mare a terra fino al sistema d’accoglienza. Una grande finestra è stata anche riservata ai lavoratori della cultura e dello spettacolo che in queste settimane si sono mobilitati a fronte della drammatica situazione che vive tutto il comparto.
«Pensavamo di essere visibili sui palchi e invece durante questa crisi ci siamo riscoperti invisibili per la politica – racconta il rapper Kento – È importante che noi musicisti siamo uniti agli altri lavoratori». «Non so cosa possano diventare gli Stati popolari ma domenica tanti invisibili hanno avuto avuto l’occasione di far sentire la propria voce», dice Fabrizio Palmieri, dei Professionisti spettacolo cultura-Emergenza continua. Cosa diventeranno gli Stati popolari è la domanda a cui la mobilitazione di domenica non ha fornito risposte precise.
GIANSANDRO MERLI
foto tratta dalla pagina Facebook degli Stati popolari