Gli affari sono affari e vanno tenuti separati dalla ricerca della verità su Giulio Regeni. A sostenerlo, giovedì sera in consiglio dei ministri, sarebbe stato il titolare dei Beni culturali Dario Franceschini appoggiando così la scelta di dare il via libera alla vendita all’Egitto di due navi militari destinate inizialmente alla Marina italiana.
Linea, quella suggerita da capodelegazione Pd, che va incontro alla decisione presa dal premier di cedere al generale al Sisi per 1,2 miliardi di euro le fregate Spartaco Schergat ed Emilio Bianchi. Conte avrebbe anche accettato la richiesta, avanzata sempre da Franceschini, di promuovere un evento pubblico per sostenere come le due cose – arrivare finalmente ai nomi di chi ha assassinato il giovane ricercatore e la fornitura militare a chi ha fatto di tutto per inquinare le indagini sulla sua morte – marcino su binari diversi: «Sono due casi separati», avrebbe spiegato Franceschini.
Sia come sia, la vendita delle due fregate rischia di rendere ancora più turbolento il clima all’interno della maggioranza. E dello steso Pd, se è vero che poco prima del consiglio dei ministri di giovedì si sarebbe svolta una riunione con il segretario Nicola Zingaretti, il vicesegretario, i capigruppo e il capo delegazione per decidere che posizione prendere in merito alla vendita delle navi. Scegliendo di non mettersi di traverso.
Per capire l’aria che tira al Nazareno basti pensare che la direzione del partito prevista per lunedì, e convocata inizialmente per discutere del bilancio, rischia di trasformarsi in una conta tra favorevoli e contrari alla vendita delle navi. L’ex presidente del Pd Matteo Orfini ha infatti annunciato di voler presentare un ordine del giorno nel quale si chiede «il blocco di qualsiasi ipotesi di vendita di forniture militari del nostro Paese all’Egitto», odg che in poche ore ha raccolto più di 500 firme tra le quali quelle della deputata Giuditta Pini e della senatrice Valeria Valente.
Ma che ha provocato anche molte pressioni sullo stesso Orfini perché facesse marcia indietro ritirando l’ordine del giorno. Senza ottenere però il risultato sperato: «L’ordine del giorno non lo ritiro» ha confermato ieri Orfini, che al suo partito chiede «di prendere atto del fatto che dall’Egitto non è arrivata nessuna risposta sul caso Regeni così come sul caso Zaky». Critiche al governo anche dall’ex presidente della Camera, oggi parlamentare dem, Laura Boldrini che definisce «un errore politico non essersi fermati e non aver posto nessuna condizionalità alla chiusura dell’accorso sulle vendite per le commesse di armi».
Ottenuto il via libera del governo, nelle prossime ore la vendita delle due fregate verrà resa ufficiale dalla firma dell’Autorità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama) e potrà quindi concludersi.
Difficilmente ostacolata da una eventuale discussione in parlamento chiesta ieri da Verdi ma anche da Amnesty international, Rete per la pace e Rete italiana per il disarmo (che annunciano azioni legali in caso di mancato confronto parlamentare). Protesta anche LeU, con il senatore Francesco Laforgia che al governo ricorda come «i diritti umani vengano prima di ogni cosa».
Silenzio, invece, da parte del Movimento 5 Stelle. Pochi giorni fa il ministro degli Esteri Luigi Di Maio aveva assicurato che la vendita delle navi non era affatto scontata, salvo poi essere smentito dopo poche ore dal premier. Dopo le iniziali proteste dei parlamentari vicini al presidente della Camera Roberto Fico, ieri nessun esponente ha preso la parola, segno dell’imbarazzo esistenze sulla vicenda nel Movimento. Parlano, invece, gli studenti dell’Università di Bologna: «E’ una vergogna», dicono i compagni di Patric Zaky. «Non possiamo continuare, in nome di interessi economici, a intrattenere rapporti con l’Egitto come se nulla fosse, per poi rilasciare dichiarazioni per chiedere verità per Giulio Regeni e libertà per Patric Zaky, così da pulirci la coscienza».
MARINA DELLA CROCE
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