Non sono un complottista. Penso che esistano grandi famiglie di possidenti che reggono le sorti economiche mondiali ma che, spesso, facendosi la guerra tra loro per avere sempre più concentrazione della ricchezza nelle loro mani, finiscano per smentire proprio la tesi del complotto pluto-giudaico-massonico ai danni di tutti i popoli della Terra.
Non sono un complottista, ma ritengo che si possa ancora lucidamente fare una analisi sulle origini di uno sviluppo diseguale che immiserisce miliardi di persone e ne arricchisce soltanto poche centinaia. L’analisi è presto fatta: basta rendersi conto che esiste chi detiene la proprietà dei mezzi di produzione e la cosiddetta “mano d’opera” (ossia la “forza-lavoro”) necessaria per far funzionare tutto l’ingranaggio di generazione del capitale.
Non sono un complottista, non credo che siamo figli degli alieni ma semmai, come ci ha ben spiegato Margherita Hack in molti suoi scritti e libri e cantato a suo tempo anche Alan Sorrenti, siamo per l’appunto “Figli delle stelle“: per cui immagino che, siccome proveniamo dalla materia di cui è fatto l’intero universo e la nostra genesi si trova negli scontri e negli incontri di pianeti, lune, asteroidi, quindi nel caos ordinato di cui si compone ciò che vaga nell’immensità spaziale, oltre la schematica rappresentazione umana dello spazio immaginabile (anzi, inimmaginabile se ci si riferisce al concetto di “infinito“), ebbene là, tra miliardi e miliardi di galassie qualche altro sviluppo delle condizioni della vita esista.
Non è dato sapere e forse non lo sarà mai, viste le straernormi distanze che ci separano dal primo puntino planetario in cui è credibile che esistano le condizioni di nascita e crescita di organismi pluricellulari, evoluti, senzienti e capaci di discernimento come la sfortunata umanità terrestre.
Non credo agli Eloim, dunque, e tanto meno agli ummiti del pianeta Ummo incontrati dal generale Pappalardo. Non ritengo che i grandi capitalisti stiano giocando con le nostre vite a suon di iniezioni di mercurio nel sangue o con microchip sottocutanei, se non quelli applicati al mio cane per l’anagrafe animale prevista dalla Legge; così non credo in nessuno dei racconti che gli esseri umani hanno nel corso dei millenni inventato per descrivere un potere che li sovrasta e che avrebbe creato tutto quello che ci circonda e che gestirebbe il tutto con un certo distacco, mantenendosi a quella necessaria distanza che garantisce il “libero arbitrio” di ciascuno e di tutte e tutti.
Non credo che la Terra sia piatta e che sia un disco circondato dai ghiacci. Dubito di molte imprese scientifiche al limite del rispetto della natura che rimane l’unica vera sacerdotessa dell’equilibrio del pianeta di cui, proprio ieri, si celebrava la giornata mondiale di rispetto della viva Gaia.
Non credo alla manipolazione dei dati da parte di società occulte, ma semmai verifico di giorno in giorno il loro utilizzo per intasarmi la casella di posta elettronica con pubblicità di ogni tipo che vorrebbero indurmi a comperare questo o quello dopo che gli algoritmi del caso hanno fatto il loro bravo mestiere di analisi delle mie visite sul web e hanno così calcolato cosa può essere più afferente ai miei gusti, alle mie esigenze.
Se apro Facebook mi si suggeriscono libri, computer, telefonini, vecchi film degli anni ’20 e ’30 rigorosamente in bianco e nero e magari dall’audio zoppicante. Se apro Instagram più o meno accade lo stesso. Me la cavo meglio con le pubblicità predisposte sui grandi siti di informazione: lì, qualunque siano le vostre preferenze in tema tecnologico o vacanziero, alimentare o intellettuale, vi tocca sorbirvi venticinque secondi (almeno) di spot su questa o quella nuova macchina o fuoriserie appena immesso sul mercato e pieno di tanti accessori da farvi pensare che magari potreste anche fare a meno del sesso, qualora certe prestazioni fossero incluse…
Per questo, visto che lo Stato reale, quello italiano, e lo Stato virtuale, Internet, sanno praticamente tutto di me, non ho alcun timore di “Immuni“, dell’applicazione creata dal governo per tracciare spostamenti e incontri che possono portarci a lambire chi ha contratto il Covid-19 e quindi entrare nel protocollo autogestito di protezione dal contagio da Coronavirus.
La app sanitaria non mi fa paura nemmeno in merito alla raccolta dei dati: cosa dovrei nascondere allo Stato? Come e dove mi muovo? Sanno che ho una moto 125 e una piccola Fiat Panda. Sanno persino di che colore sono. Sanno che non guido tir, nemmeno treni e nemmeno aeroplani.
E’ difficile sfuggire, sin da bambini, all’acquisizione di informazione che le istituzioni pubbliche prelevano, a poco poco, durante la formazione piena dell’individuo. Senza troppe manfrine, compilando di volta in volta questa o quella anagrafe personale, familiare, di vita, di morte, sanitaria, canina, felina o questo o quel modulo assicurativo, questo o quel modulo delle tasse, si finisce per consegnare allo Stato ogni tipo di informazione sulle nostre vite.
Non credo si debba temere tutto questo e individuare nella macchina burocratica, peraltro terribilmente farraginosa, il nemico di classe da contrastare per una lotta di classe sgombra da tutte le informazioni che il “nemico” può ricavare nei nostri confronti. Al contrario. Penso che più cristallini siamo noi stessi e meno armi diamo in mano ai nostri oppositori, a chi vorrebbe controllarci sempre meglio, armi per controllarci davvero.
Il nostro avversario non è il regime burocratico statale e nemmeno lo sono gli organi di repressione dello Stato nei confronti dei lavoratori, degli studenti e di tutti coloro che liberamente scelgono forme di lotta anche molto diverse da loro per fronteggiare le offensive liberiste e del moderno inviluppo del capitalismo.
Il nostro avversario, come comunisti, deve rimanere la classe dei padroni, degli imprenditori, di coloro che possiedono i mezzi di produzione e le moderne grandi catene di distribuzione delle merci già prodotte da altri capitalisti per una immissione globale sul mercato, aumentando così il livello di sfruttamento dei lavoratori fino a livelli di nuovo vero e proprio schiavismo.
L’ultima cosa che mi preoccupa è “Immuni“. Se ne può fare un punto di principio e di coerenza: ma l’esaltazione unilaterale e singola della coerenza è come l’arma del boicottaggio. Funziona soltanto se è di massa, se l’adesione è praticamente totale. Ma l’azione personale si perde, pur nella sua buona volontà e nella sua piena adesione alla visione di un mondo che rifiuti tutta questa ruggine corrosiva della solidarietà sociale, del diritto alla piena libertà del singolo e del collettivo, e finisce per inanellare uno scontro impari che non fa altro se non generare frustrazione e limitare sempre più la capacità critica, di pensiero e di azione, proprio di ciascuno di noi.
Per prima cosa dobbiamo tornare a pensarci come un insieme e non come singolarità che possono provare a cambiare il mondo. Da solo nessuno può fare leva su rapporti di forza costruiti globalmente e su fortune accumulate per secoli.
Non serve dunque sprecare energie e parole, oppure fare eterne discussioni su “Immuni” o su altre presunte forme di “controllo sociale“. Il vero controllo sociale è quello che si esprime nella longa manus della repressione padronale, mediante l’opera dei governi polizieschi, nelle piazze quando, lì sì, si percepisce vividamente la potenza delle masse che protestano, che si rivolta e che incendiano interi quartieri, auto della polizia, stazioni della polizia e palazzi governativi.
Solo l’unità di classe può essere ingestibile sul terreno dell’acquisizione delle informazioni: il singolo è sempre controllabile, ma un enorme sommovimento popolare che si allarga sempre più e assume coscienza del proprio stato anti-sociale in questo mondo capitalistico, quello sì diviene difficilmente gestibile con la semplice burocrazia tanto cartacea quanto internettiana.
Non ci sono Truman show che tengano per illudere miliardi di moderni proletari, di salariati, di sfruttati che sono divisi in cinque continenti, che si combattono fra loro grazie all’astuto controllo economico di una società che si illude di risolvere i propri problemi richiamando i padroni del vapore a maggiore “onestà“. Illusione ancora più smodata se riguarda la sovrastruttura politica direttamente gestita dalla struttura economica dominante.
Tuttavia, scaricare o non scaricare “Immuni” sulla base del dilemma del trattamento dei dati, del tracciamento dei nostri movimenti e così via dicendo, i gesti singoli contano se si adotta come principio una grande lezione ghandiana: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo“. Ecco, ben sapendo che il cambiamento non arriverà immediatamente dopo aver seguito alla lettera la propria coscienza in ogni comportamento quotidiano nostro, seguire quella coscienza non farà poi così male, soprattutto se è una coscienza rivolta al sociale e non soltanto verso sé stessi.
MARCO SFERINI
6 giugno 2020
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