Nelle ultime 24 ore sono state registrate 285 vittime e 1872 nuovi casi positivi in Italia. Scendono sotto quota 1700 i ricoverati in terapia intensiva e questo significa che il 70% dei posti letto in rianimazione possono ora essere dedicati ad altre emergenze e alla chirurgia più impegnativa: è una buona notizia per tutti.
Gli epidemiologi dell’Istituto Superiore di Sanità hanno incontrato oggi i giornalisti per dare spiegazioni su un «documento riservato» ma largamente circolato nei giorni scorsi sui media. Si tratta del rapporto elaborato dai tecnici sulla base del quale il governo ha stabilito modi e tempi delle riaperture della fase 2. Il documento è autentico e nient’affatto basato su modelli segreti, ha detto il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro. Dietro quegli scenari ci sono le simulazioni del gruppo guidato da Stefano Merler, ricercatore alla Fondazione Bruno Kessler di Trento, su cui sono stati sviluppati i 92 scenari a cui ha potuto attingere al governo.
Lo stesso Merler è intervenuto, ribadendo che la scelta più discussa, quella di tenere chiuse le scuole, è fondata su un’osservazione ineludibile: in tutti gli scenari che prevedevano l’apertura delle scuole di ogni ordine e grado, l’epidemia appariva destinata a ripartire. L’indice di riproduzione R0, che misura il numero medio di persone contagiate da ciascun infetto, sarebbe infatti tornato al di sopra del valore 1, oltre il quale l’epidemia riprende a diffondersi in maniera esponenziale.
Ad esempio, la sola riapertura delle scuole (mantenendo sospesi tutti gli altri settori) avrebbe fatto salire l’indice a 1,33. Significa che i contagi sarebbero ripartiti raddoppiando ogni due settimane. Nell’ipotesi più improbabile, quella di una riapertura totale di tutte le attività, scuole comprese, l’indice sarebbe addirittura balzato a 2,25. In questo modo i casi avrebbero ricominciato a crescere raddoppiando ogni 6 giorni. All’inizio di giugno le terapie intensive avrebbero dovuto reggere l’impatto di 151 mila malati, un numero fuori portata per i circa 8 mila posti letto di terapia intensiva attualmente disponibili. Questo numero esorbitante ha fatto cadere sui ricercatori l’accusa di catastrofismo e di esagerazione, e pure di scarsa competenza.
Con i giornalisti, Merler ha rispedito al mittente l’accusa. «Ho imparato le divisioni in quinta elementare e non intendo discuterne più – ha detto – siamo tra i gruppi di ricerca che hanno pubblicato il maggior numero di ricerche sulle riviste scientifiche più importanti sul Covid-19». Merler ha spiegato che si trattava solo di un’ipotesi che nessuno ha mai preso in considerazione sul serio, non di una previsione realistica.
Brusaferro ha presentato anche le analisi più aggiornate dell’Iss sull’epidemia in corso. Si conferma la crescita dei casi di sesso femminile, che ormai rappresentano il 52% dei contagiati ma solo il 38% delle vittime. Torna ad allungarsi il tempo necessario per ricevere un tampone: tra i sintomi e il test trascorrono addirittura otto giorni, un dato difficilmente giustificabile visto che il periodo peggiore dell’emergenza sembra superato. E un pessimo presagio per la capacità di sorveglianza durante la fase 2. Si consolida finalmente il calo degli operatori sanitari contagiati, che nelle scorse settimane è hanno rappresentato il 12% del totale (a fine marzo erano stati il 20%). Tra loro aumenta la percentuale degli infermieri, che da soli rappresentano la metà dei sanitari positivi.
Infine, nonostante il miglioramento della situazione epidemiologica permangono sul territorio nazionale ben 74 «zone rosse»: si tratta di aree spesso molto piccole in cui è ancora vietato entrare e uscire sul modello dei comuni del lodigiano colpiti per primi dall’epidemia. L’area in cui si concentra il numero maggiore di zone rosse è quella al confine tra Emilia, Lombardia, Piemonte e Liguria. Ma se ne contano un po’ ovunque anche in territori per altro risparmiati dal virus, come il Molise che ne ospita ben due.
ANDREA CAPOCCI
Foto di Vesna Harni da Pixabay