Immunità parlamentare, immunità di gregge, immunità specifica, adattativa, oppure ancora immunità aspecifica o addirittura innata. Pensate, c’è chi persino la possiede come una idea platonica, come qualcosa cui mai si arriva tramite l’esperienza ma grazie ad una caratteristica che si possiede da sempre, fin dal grembo materno.
Poi arriva “Immuni“, cui manca il suffisso accentato proprio perché morfema inutile nel nome proprio di una applicazione telematica che assume dei connotati ben precisi e che si rivolge a noi fuori dalla predeterminata classificazione delle immunità descritte poche righe prima: quelle le conosciamo più o meno tutti e tutti sappiamo che se un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni esprime una opinione non gradita al governo, non per questo deve essere oggetto di rappresaglia politica.
Da qui lo strumento della difesa del diritto alla piena libertà di poter dire ciò che pensa e vuole. Un diritto sacrosanto, soprattutto dopo vent’anni di dittatura fascista che era intervenuta proprio in quell’aula sorda che sarebbe ben presto diventata il bivacco dei manipoli mussoliniani, nonostante questo venisse smentito nei primi anni della presa del potere da parte delle camicie nere.
Conosciamo tutti l’immunità di gregge; quanto meno l’abbiamo iniziata a conoscere sentendo i virologi parlare in queste settimane, ormai mesi, in televisione spiegandoci che non appena la popolazione arriva ad un tasso di infezione che supera il 70% circa del totale, allora si può considerare in atto una forma di contenimento naturale del Coronavirus visto che a poterlo contrarre resterebbe una ristretta minoranza di cittadini.
Ciò renderebbe comunque necessario il vaccino o, almeno, una terapia che permettesse di curare la malattia, ma almeno avremmo una garanzia ulteriore sull’eventuale espansione esponenziale del Covid-19 e non dovremmo preoccuparci forse più di ondate di ritorno, di zone rosse, di accelerazione nel riparare i danni procurati alla sanità pubblica in favore delle privatizzazioni magnificate nei decenni passati come meravigliose sorti e progressive per una Italia certa del suo sviluppo scientifico. Proprio mentre all’estero fuggivano giovani promesse della medicina di ogni settore visto l’impoverimento progressivo e generale del Paese.
L’altra immunità cui ora dovremmo abituarci sarebbe questa volta digitale e non concretamente verificabile sulla nostra pelle, bensì sui nostri telefonini, sugli smartphone. Telefoni intelligenti, che tutto fanno, tutto ti dicono e tutto sanno, soprattutto. Ogni giorno in questi apparecchi noi inseriamo informazioni di noi stessi che pensiamo forse siano scontate, ma che aiutano tanti algoritmi a generare altre informazioni in forma di pubblicità che permettono a grandi e piccole aziende di contattarci telefonicamente per proporci contratti telefonici, suggerimenti di prodotti sia quando navighiamo su classici siti Internet sia quando stiamo ore su Facebook, Twitter, Instagram… La pubblicità che ci compare è sempre legata alle nostre esigenze o, almeno, a quelle che il sistema informatico deduce come tali a seconda dei luoghi in cui siamo, dei siti che visitiamo, dei “click” che facciamo su questo o quel post, su questo o quel sito, su questa o quella pubblicità.
Lo Stato, del resto, dal canto suo sa già praticamente tutto di noi: forse non possiede l’anamnesi di ognuno attraverso la digitalizzazione delle cartelle cliniche dei medici di base? Quando sono stato dal mio nuovo medico per la prima volta mi ha fatto un interrogatorio sulla mia pregressa salute cui nemmeno la Cia con metodi democraticamente occidentali o la Gestapo con metodi più sbrigativi mi avrebbero sottoposto. Naturalmente esagero, per sorridere un poco di tutto ciò, ma è fuori di dubbio che un tempo il tuo nuovo medico di famiglia non ti faceva mille domande da inserire su un computer. Ti chiedeva come stavi, che malattie avevi avuto da piccolo e che cosa ti sentivi in quel momento per essere lì davanti a lui a rompergli le scatole.
Se qualcuno di voi ha poi fatto magari una risonanza magnetica, una Tac o qualche altro esame leggermente invasivo, sa che bisogna compilare un altro foglio anamnestico che descrive lo stato di salute attuale del paziente molto minuziosamente e opportunamente, visto che anche una minima disattenzione può causare danni fisici di non poco conto se non si avverte il personale medico atto a tali procedure.
Dunque, i dati realmente in nostro esclusivo possesso, realmente garantiti dalla anglosassone “privacy“, tanto sulla nostra vita personale, sui nostri spostamenti, su quel che ci piace e quel che non sopportiamo, sulle nostre idee politiche e sociali, persino quali programmi televisivi ci piacciono maggiormente (le tanto agognate piattaforme in streaming tengono una attenta e minuziosa cronologia di quel che scegliamo di vedere…), sono pochissimi. Veramente pochi.
Per questo, personalmente, non avrei alcun problema, sulla base di queste considerazioni, a scaricare “Immuni” e consentire allo Stato di sapere se sono positivo al Coronavirus, se entro in contatto con questa o quella persona per tutelare proprio la salute altrui – oltre naturalmente alla mia – così come faccio quando metto una mascherina usa e getta (la ormai celeberrima “mascherina chirurgica“), visto che lo Stato mi “conosce” già benissimo, fin dalla culla, quando all’anagrafe comunale si viene registrati e si compare nella lista dei cittadini viventi della Repubblica.
Altresì penso che non dobbiamo dare alcun alibi proprio al potere su ciò che facciamo e su ciò che siamo, così da non essere ricattabili in alcun modo. La trasparenza totale permette di essere, di dire ciò che si è e si fa senza infingimenti, senza tentare di nascondersi, di occultarsi davanti tanto al cannibalismo antisociale del potere quanto ai pregiudizi dei singoli.
Chi ha fatto esperienza di “coming out“, sa molto bene quale sia il potere del “venir fuori“, quale forza interiore dia in termini di autostima e di consapevolezza piena dei diritti, della propria uguaglianza rispetto a tutto il resto del genere umano; e sa bene altresì quale arma pacifica sia nel depotenziare qualunque tipo di vessazione, di bullismo, di discriminazione e di prevenzione ideale, sessuale, anticulturale.
Chiaramente tutto ciò è pensabile e praticabile in tempi relativamente pacifici, dove lo spionaggio di guerra, per l’appunto, non ha ragione di esistere, altrimenti si dovrebbe ricorrere a forme nuove di occultamento di sé stessi, del proprio nome, dei propri spostamenti. Oggi la “Resistenza” sarebbe possibile rifarla, ma non andando in montagna con i telefonini appresso e trovando esperti pirati informatici capaci di disturbare le intercettazioni del nemico mediante i satelliti e qualunque tipo di tracciamento mediante il sistema GPS.
Ma, fuori da qualunque scenario fantascientifico-politico, ritorno al mio dubbio sullo scaricare e mettere in funzione l’applicazione “Immuni“. Ho solo un unico dubbio: tutti i dati sulla mia salute, garantisce il Governo, saranno criptati nominalmente e nessuno potrà vedere a chi appartengono, ma al massimo scorgerà un soprannome, un classico “nickname“, appartenente alla persona incrociata e che si suppone positiva al Covid-19. Ma dopo la fine dell’emergenza, quando l’applicazione sarà divenuta praticamente inutile, quei dati chi li conserverà? Saranno ad esempio mantenuti in qualche database e magari messi a disposizione degli imprenditori per continuare a conoscere – dietro la necessità inventata (e paventata, ovvio…) della “sicurezza sui posti di lavoro” – i punti deboli dei loro dipendenti?
Il punto è proprio questo: noi domani festeggiamo il Primo Maggio senza cortei, senza il grande concerto dei sindacati a Roma, senza la possibilità di vedere la classe lavoratrice intera, tutti i precari, i disoccupati e i giovani in cerca di lavoro di sfilare per darsi coscienza, per sentirsi parte di un mondo che li tiene in pugno e che, troppo spesso, considerano un mondo normale, naturale, immutabile.
Noi dopo domani, dopo che il Primo Maggio sarà trascorso, andremo sempre più incontro a pressioni del mondo confindustriale, del padronato per la riapertura della totalità delle imprese, mentre andranno al lavoro dopo il 4 maggio già oltre cinque milioni di cittadini, con sempre minori garanzie per la stabilità dei loro diritti e soprattutto della loro salute.
Sarebbe davvero spiacevole se anche “Immuni” si aggiungesse alla classifica dei fattori penalizzanti delle già precarie condizioni di vivibilità dell’ambiente di lavoro e costringesse i lavoratori stessi ad essere ulteriormente sottoposti a ricatti e pressioni grazie ad informazioni fornite per tutelare vicendevolmente la salute di tutti, un bene comune, vedendo poi ciò ancora una volta messo alla berlina da interessi privati.
I miei dati personali li posso condividere con l’universo mondo, visto che nemmeno mi nascondo dietro ad alcun soprannome su Internet: nemmeno quando videogioco o quando rispondo a sondaggi di varia natura. Ma mi dispiacerebbe veramente molto se “Immuni” diventasse uno strumento in mano al potere economico per gestire con ancora maggiore dovizia e intransigenza la vita già complicata dei lavoratori e delle lavoratrici, dei giovani precari, dei disoccupati e di tutti coloro che sono talmente privi di tutto da poter essere sfruttati anche solo attraverso una informazione medica.
Si può anche sapere a quale partito si appartiene, ma non si ha il diritto di usare la nostra mente e il nostro corpo, sano o malato che sia, per peggiorare la condizione di sopravvivenza di ognuno di noi.
Finché i dati e le preferenze commerciali di una persona servono a generare pubblicità, sta nel gioco del mercato capitalistico. Ma quando vengono utilizzati per inasprire la lotta di classe, per alimentare lo sfruttamento e rendere ancora più sfruttati i moderni proletari, allora a questo gioco non bisogna giocare né permettere che si giochi. Per questo, prima di scaricare “Immuni” pensiamoci. Pensiamoci bene.
Intanto… Buon Primo Maggio a tutte le lavoratrici, a tutti i lavoratori. A tutti i precari, a tutti i disoccupati, a tutti gli sfruttati. Vale sempre la chiusura del “Manifesto del Partito comunista“: “Lavoratori di tutti i paesi, unitevi!“.
MARCO SFERINI
30 aprile 2020
Foto di Myriam Zilles da Pixabay