«Obbedienza alle disposizioni». Con tre parole pronunciate ieri mattina durante la messa a Santa Marta, il papa rimette in riga la Conferenza episcopale italiana e getta acqua sulle fiamme della polemica attizzata dai vescovi contro il governo che non ha ancora dato il via libera alle messe con la partecipazione dei fedeli.
«In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena – ha detto papa Francesco prima di cominciare la celebrazione –, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni».
Contenuti e toni nettamente diversi da quelli della Cei di domenica sera, che accusava la Presidenza del consiglio di aver preso una decisione «arbitraria», denunciava la limitazione dell’«esercizio della libertà di culto» e affermava che «la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale».
Le parole del papa devono essere arrivate forti e chiare negli uffici di Circonvallazione Aurelia, se poco dopo è lo stesso portavoce della Cei, don Ivan Maffeis, a fornire un’interpretazione meno barricadiera e più conciliante della nota dei vescovi. «In quelle parole non c’era volontà di strappare col governo», spiega, ma solo di esprimere «delusione» e «amarezza di fronte al fatto che con la ripartenza di attività considerate giustamente strategiche per la vita del Paese non ci venisse riconosciuta la possibilità di tornare ad abitare le nostre chiese nel rigoroso rispetto delle norme». Quindi nessuna «fuga in avanti», ma «avanti col dialogo costruttivo».
Infatti il dialogo fra Palazzo Chigi e Segreteria generale della Cei procede, ora anche agevolato dall’intervento da pompiere del papa. Sono allo studio dei protocolli per accelerare la ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo: cerimonie all’aperto, riduzione della capienza nelle chiese per permettere il distanziamento fra i fedeli, igienizzazione delle mani all’ingresso, no allo scambio della pace, distribuzione delle ostie consacrate evitando il contatto fisico.
Il via libera dovrebbe arrivare per il 18 maggio, lo stesso giorno in cui riapriranno negozi, biblioteche e musei. Se invece sarà prima, l’11 o addirittura domenica 10 maggio come auspicano i vescovi, la sparata della Cei sarà riuscita a forzare il governo a costruire una corsia preferenziale per le messe. La questione non riguarda solo i cattolici, ma anche le altre confessioni religiose (la scorsa settimana è cominciato il Ramadan per i musulmani), che invece sembrano escluse dal dibattito pubblico e dal dialogo con le istituzioni. La Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, per mezzo del suo presidente, il pastore Luca Negro, chiede al governo che «la ripresa venga almeno calendarizzata e non lasciata all’ultimo posto».
Toni simili anche dal presidente dell’Ucoii (Unione comunità islamiche in Italia), Yassine Lafram: «È importante continuare a rispettare le disposizioni del governo per superare l’emergenza, ma chiediamo fermamente che vengano messe a disposizione il prima possibile delle misure ad hoc che permettano ai fedeli di partecipare alle preghiere congregazionali in condizioni di sicurezza». Più deciso l’imam Yahya Pallavicini, presidente del Coreis: non consentire le celebrazioni religiose è una «scelta politica» del governo, che decide di «dare priorità alle attività produttive e non ritiene di dare la stessa priorità, anche graduale e controllata, all’esercizio della libertà religiosa».
Tornando alla Chiesa cattolica, che quelle di papa Francesco non siano state parole estemporanee bensì una mossa deliberata per alleggerire le tensioni – e anche prendere le distanze dai vescovi italiani –, lo dimostra L’Osservatore Romano. Se infatti alla polemica Cei-Conte il quotidiano della Santa sede ha dedicato un articolo di cronaca decisamente asettico («Il governo italiano annuncia la fase 2. Graduale riapertura dal 4 maggio»), l’edizione di oggi apre con un titolo a tutta prima pagina: «Prudenza e obbedienza perché la pandemia non torni».
Un invito rivolto agli oltranzisti cattolici pronti alle crociate, ai preti che radunano i fedeli clandestinamente e dicono messa di nascosto e a immarcescibili cardinali, come Ruini, che ieri ha detto al Giornale: il governo «si è arrogato competenze non sue riguardo alla vita della comunità cristiana, ora ha il dovere di rivedere le sue posizioni».
LUCA KOCCI
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