Ma che diamine ci fate ancora così tanti in giro?

Disarmanti, allarmanti. Questo sono le immagini di Genova, di Livorno, di Napoli, di Palermo, pubblicate in questi giorni dai quotidiani e dai siti web: foto e video dove del...

Disarmanti, allarmanti. Questo sono le immagini di Genova, di Livorno, di Napoli, di Palermo, pubblicate in questi giorni dai quotidiani e dai siti web: foto e video dove del tutto tranquillamente una parte della popolazione italiana va al mercato a comperare, affolla i supermercati e vi scatena pure delle risse al loro interno per “code scavalcate” da qualcuno che vuole passare prima di altri, passeggia per le vie centrali di grandi capoluoghi di regione come se nulla fosse, come se il Coronavirus non esistesse e le norme di contenimento e di restrizione avessero un valore concreto e reale solo per gli altri.

I teleobiettivi delle macchine fotografiche possono anche “schiacciare” le immagini e far sembrare una folla quella che invece, spalmata su un più ampio e lungo spazio, risulta essere indubbiamente meno folta e vicina, ma rimangono le evidenze: e queste ci dicono che ancora troppa gente circola senza motivo, incurante del pericolo, infischiandosene della salute pubblica, pensando esclusivamente alla propria e, forse, nemmeno poi così tanto. Si chiamano irresponsabili, forse anche idioti. Scegliete voi come appellarli.

Ho pensato in queste settimane che, purtroppo, la campagna anche un po “terrorista“, fatta di una ripetitività che sarebbe tanto piaciuta al dottor Goebbels in altri contesti, fosse da un lato ridondante, eccessiva, che abusasse della nostra capacità di comprensione, di acquisizione delle necessarie e giuste informazioni su come comportarci nella pandemia che tutti ci avviluppa al momento.

Mi sono detto che era sufficiente e che, comunque, non sarebbe mai stato poi così tanto sbagliato ogni giorno mandare qualche pubblicità – progresso, qualche spot di informazione istituzionale su come lavarsi le mani, su quando e come uscire, sul perché è necessario stare se non 24 ore su 24, almeno 23 ore e 40 minuti come il sottoscritto in casa, evitando contatti sociali di qualunque tipo. Laddove possibile, quando possibile.

Eppure, ancora troppi cittadini, seppure una minoranza, si fanno beffa delle misure sanitarie messe in campo: le tentano tutte per uscire dalle mura domestiche e farsi una passeggiata. Allungano i tempi della spesa, delle necessità fisiologiche canine, dell’andare in farmacia, del recarsi da un parente che necessita di assistenza… e così via…

Gli espedienti sono molti per cercare di superare non tanto la barriera insopportabile – ma necessaria – tra noi e gli altri: più che un bisogno di “socialità” mi sembra che dietro queste passeggiate di massa, assolutamente sconsiderate, vi sia solo la personale, egoistica voglia di stare il meno peggio possibile singolarmente, tralasciando un dovere civico, civile e persino morale che abbiamo in questi momenti.

Il dovere di essere liberi nella partecipazione: non possiamo farlo fisicamente tutte e tutti insieme in una piazza, ma possiamo farlo nel contesto preciso in cui ci troviamo a vivere e sopravvivere. Possiamo farlo sostenendo uno sforzo veramente immane e impensabile fino a pochi mesi fa.

Chi invece ogni volta pensa che il suo comportamento irrituale, che contravviene apertamente le regole, sia tutto sommato qualcosa che non porta nocumento all’insieme dei comportamenti corretti che si sommano e che formano un antidoto immateriale perché sociale, collettivo e di massa contro il virus, rompe prima di tutto uno schema solidaristico che è, in questo momento, la vera libertà.

La partecipazione gaberiana oggi può esprimersi in questo modo, scevra da tricolori e atteggiamenti patetici di un nazionalismo frutto di una retorica insopportabile, tanto quanto l’abuso delle parole “eroe” e “angelo” quando ci si riferisce a chiunque rischia ogni giorno la propria salute per consentire a tutto il popolo di superare questa fase emergenziale.

Lo hanno spiegato più volte gli stessi medici, infermieri, operatori del 112 e delle varie croci: non sono eroi, sono però cittadini che si comportano con un altruismo che gli deriva da un istinto intrinseco, alimentato dalla consapevolezza che fuori dagli ospedali, nella cosiddetta “vita pubblica“, tutto non continua come prima, perché la lezione è stata imparata dalla maggioranza degli italiani che hanno anche smesso di cibarsi inverosimilmente di notizie false e che iniziano a dare retta soltanto ai canali istituzionali e ad una informazione che mente certo molto meno oggi rispetto a quando ci raccontava e ci racconta che le privatizzazioni dei principali settori dello Stato erano le “magnifiche sorti e progressive” del nuovo (anti)stato-sociale del Paese.

Non sarà facile ripristinare per gradi tutti gli spazi di libertà agibile, quella riscontrabile nei fatti quotidiani della nostra vita perché evidente nel comportamento che possiamo assumere rispetto ad altre persone, ambienti, cose… Ed è evidente che la sospensione di uno stile (insano) di vita che abbiamo tenuto fino ad oggi – chi più, chi meno – è una cicatrice che rimarrà per sempre impressa quanto meno nella nostra memoria e, se usciremo indenni da questa pandemia (fate pure tutte le scaramanzie del caso), racconteremo questi tempi ai nipoti appena nati oggi, a quelli che ancora sono troppo piccoli, per fortuna, per comprendere appieno il senso di claustrofobia che molti cittadini patiscono e che li fa “sbroccare“, per certi versi li rende ribelli a norme che sono giuste e che, pertanto, vanno rispettate alla lettera.

Le paternali non sono mai utili quando si vuole raggiungere lo scopo che ci si prefigge, ma forse possiamo guardarci un po’ dentro tutti, ascoltarci per un attimo e fare un esame di coscienza: di coscienza civile, laica, repubblicana. Sentirsi non tanto “patrioti“, ma appartenenti ad una unica specie, ad una umanità che un giorno potrebbe vivere in una grande federazione di produttori liberi, senza più questo capitalismo onnivoro che tutto divora e che tutto fa divorare; che ci abitua a nutrirci di carni che, ad oggi, sono all’origine di tutte le ultime epidemie e pandemie.

Cambiare lo stile di vita nel prossimo futuro, iniziando dal considerare il fatto che non esistono differenze se non quelle di classe, quelle tra sfruttati che lavorano e percepiscono salari da fame e sfruttatori (imprenditori, padroni, ripeto: chiamateli un po’ come volete, ma sempre quello sono e rimangono) che accumulano capitali ingenti, li scudano dalle tasse che dovrebbero pagare nei loro paesi portando i profitti al sicuro nei paradisi fiscali, ebbene iniziando a mutare la prospettiva da cui osservare la vita e il mondo, sarebbe un primo, importantissimo passo avanti nel superare questo sistema economico.

Non solo il capitalismo non può assicurare benessere per tutti, dovendolo mantenere soltanto per i detentori della proprietà privata dei mezzi di produzione (gli sfruttatori, ergo…), ma procura il malessere (letteralmente tale) per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale: partendo sempre da un punto incontrovertibile, ossia che grazie ai profitti puoi garantirti un rifugio sicuro – in un certo qual modo – anche dalle pandemie, ma se sei povero, indigente e senza uno straccio di protezione sociale, sei alla mercé del virus non una ma venti volte di più rispetto al ricco possidente, profittatore e speculatore borsistico.

Non credo che il livello di coscienza che si dovrebbe avere in merito all’aderenza alle misure di contenimento sanitario sia così diverso dalla consapevolezza che si dovrebbe parimenti avere in merito alla propria condizione sociale. In entrambi i casi significa proteggere sé stessi e tutti gli altri. Sapendo che il virus è molto democratico, può aggredire tutte e tutti: sfruttati e sfruttatori. Con le differenze di cui si è appena fatto cenno in merito alla fase successiva: quella delle cure.

Una sanità pubblica almeno garantisce a tutti le cure. Una privata soltanto a chi ha i soldi per pagarla. La logica del mercato, del resto è questa e non può mutare. E’ una legge economica e va oltre il “dura lex sed lex” di latina memoria.

Per questo, un salto di qualità nel prendere coscienza dell’emergenza oggi può essere un salto evolutivo nella considerazione singolare, di ognuno di noi, del contesto in cui abbiamo vissuto e che viviamo oggi. Diversificato per tempi e modi, ma sempre nel capitalismo stiamo e sempre di prestiti bancari sentiamo parlare, di coronabond, di MES (il meccanismo “salva-stati” dell’Unione Europea che strangola i paesi più indebitati a tutto vantaggio di quelli più forti economicamente parlando. In pratica uno strozzinaggio legalizzato), di acquisti di titoli di Stato e così via.

In pratica la stabilità economica tende sempre a prevalere sul benessere sociale, sui beni comuni, primo fra tutti la salute pubblica.

Rimaniamo a casa quanto più possiamo, seguendo le regole date dal governo che tanti errori ha fatto e sta ancora facendo, che biasimeremo successivamente con tutte le dovute critiche del caso. Adesso è il tempo di seguire le regole che funzionano, che stanno dimostrando come la curva del contagio si stia stabilizzando e a poco a poco cresca sempre meno. Avviene lentamente a causa proprio delle uscite fuoriluogo di ancora troppi cittadini.

Il numero dei contagi calerebbe maggiormente e quindi più in fretta se ce ne infischiassimo meno degli altri, del virus: se ci sentissimo meno onnipotenti e più vulnerabili. Provando paura, magari anche molta ansia, ma diventando così umani e non super-uomini che alla fine crollano dagli empirei che si sono mentalmente costruiti per sfracellarsi al suolo, su quella terra del pragmatismo dove si continua a morire ad un ritmo troppo impressionante.

MARCO SFERINI

4 aprile 2020

foto: screenshot tv

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