Dopo una notte di trattativa, non senza tensioni, accordo tra sindacati e imprese sulle nuove regole per la sicurezza sul lavoro all’epoca del Coronavirus. Un’intesa mediata in prima persona dal premier, Giuseppe Conte: «Dopo diciotto ore di un lungo e approfondito confronto», sottolinea lo stesso presidente del Consiglio, «è stato finalmente siglato il protocollo. Per il bene del Paese, per la tutela della salute di lavoratrici e lavoratori. L’Italia non si ferma». Il governo ne «favorisce, per quanto di sua competenza, la piena attuazione», si legge nel testo.
Si chiama «Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro», ed è stato sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, Confapi, Rete imprese Italia e Alleanza delle cooperative. In dodici pagine e tredici punti detta le condizioni per garantire la salute e abbassare il più possibile il rischio contagio.
L’attività produttiva può proseguire solo in presenza di «adeguati» livelli di protezione. Per garantirli, si può ricorrere anche allo stop della produzione per qualche giorno, con il ricorso agli ammortizzatori sociali.
Tra le norme più importanti, i controlli all’ingresso dei luoghi di lavoro e possibile misurazione della temperatura corporea: oltre i 37 gradi e mezzo il lavoratore sarà assistito. L’azienda dovrà assicurare la sanificazione periodica dei locali e adottare tutte le precauzioni igieniche. Qualora il lavoro imponga una distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative è necessario l’uso delle mascherine e di altri dispositivi di protezione: guanti, occhiali, tute, cuffie e camici conformi.
L’accesso agli spazi comuni, comprese le mense aziendali, le aree fumatori e gli spogliatoi è contingentato, saranno favoriti orari di ingresso e uscita scaglionati in modo da evitare il più possibile contatti nelle zone comuni.
Le imprese potranno, avendo a riferimento quanto previsto dai Contratti nazionali e favorendo le intese con le rappresentanze sindacali aziendali, disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione. Dovranno essere assicurati piani di turnazione dei dipendenti per diminuire al massimo i contatti e di creare gruppi distinti e riconoscibili.
In caso di chiusure vanno utilizzati in via prioritaria gli ammortizzatori sociali previsti nel decreto in pubblicazione.
Nel caso in cui una persona presente in azienda sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria come la tosse, l’ufficio del personale dovrà procedere al suo isolamento e a quello degli altri presenti nei locali. L’azienda avvertirà immediatamente le autorità sanitarie.
In ogni azienda dovrà essere costituito un Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Nella prima conferenza stampa virtuale della storia della Cgil, il segretario generale Maurizio Landini ha illustrato il protocollo rispondendo alle domande dei lavoratori – tramite Facebook – e dei giornalisti. La ratio del Protocollo firmato sta tutta nel concetto: «Dove si lavora, bisogna farlo in sicurezza; se non è possibile ci sono gli ammortizzatori sociali ma nessuno deve perdere il lavoro». Per Landini si tratta «di un risultato importante: non abbiamo risolto tutti i problemi ma possiamo garantire i lavoratori il più possibile all’interno di una situazione totalmente inedita: vengono prima salute e sicurezza di profitto e rendita».
La promessa del governo è che «entro metà della prossima settimana saranno assicurate a tutti i lavoratori le protezioni individuali». Tutto il Protocollo è comunque demandato su base aziendale: «Non si decide con la bacchetta magica da Roma», sottolinea Landini.
Riguardo a possibili sanzioni alle aziende che non rispettano il Protocollo, Landini ha sottolineato che «se non ci sono le condizioni, non si lavora: non è che se l’azienda paga una multa poi può produrre».
Landini ha poi ricordato che «il virus potrebbe essere legato anche ad un modello di sviluppo che non rispetta l’ambiente» e dunque ha rivendicato la sua proposta di «utilizzare questa crisi per cancellare la flessibilità»: «Serve un cambiamento globale perché l’interdipendenza ci fa capire che il ritorno alle piccole patrie non ha senso».
MASSIMO FRANCHI
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