30 anni dopo: al di qua e al di là del “muro”

Quando un muro cade è per due motivi: l’usura del tempo lo ha fatto rovinare fino a terra, ne ha distrutto la solidità e lo ha corroso fino a...

Quando un muro cade è per due motivi: l’usura del tempo lo ha fatto rovinare fino a terra, ne ha distrutto la solidità e lo ha corroso fino a renderlo polvere, oppure qualcuno lo ha spinto, lo ha rovesciato sul selciato e ne ha fatto brandelli per aprirsi al futuro, per cancellare tante vergogne di un passato lugubre, stanco, esausto delle divisioni calde o fredde create dalle guerre non guerreggiate.

Quel 9 novembre del 1989, il muro di Berlino venne scavalcato, tirato giù a picconate e tutti pensarono che iniziasse così una nuova stagione di libertà, di progresso sociale. Una sorta di avventura verso quel benessere che non avevano conosciuto dal 1933, anzi ancora prima, dal 1914, passando per la prima guerra mondiale, per le clausole del Trattato di Versailles, per l’inflazione che aveva reso esangue la Germania, per il regime omicida del Terzo Reich, per la seconda guerra mondiale e, infine, per la divisione in blocchi dell’Europa, per la separazione della capitale prussiana in due parti tratteggiate prima e delimitate poi da filo spinato e mattoni eretti in una rapida, lunghissima notte.

Quando il muro cadde, i più giovani comunisti pensarono che si poteva passare alla fase successiva dell’infervoramento rivoluzionario e dedicarsi alla socialdemocrazia, al riformismo, alla non totale accettazione del sistema capitalistico, rimanendo critici ma pur sempre “pragmatici“.

Al comunismo venne data la medaglia disonorevole di rappresentare l’onta dei soli regimi dell’Est, di una Unione Sovietica che stava cascando come un castello di carta sotto il peso della sua burocrazia elefantiaca e sotto tutte le contraddizioni che si era portata appresso tra corsa agli armamenti e costante allontanamento dagli originari valori della Rivoluzione bolscevica.

Al comunismo venne dato lo stigma d’essere, al pari del nazismo, un esempio novecentesco di orrore, morte, distruzione, concorrenza atomica.

Al comunismo venne assegnato il titolo di “impero del male” contro ciò che stava al di qua del muro, in Occidente: benessere, democrazia, libertà di parola, libertà civili e civilizzatrici. E tanta povertà, tante lotte contro lo sfruttamento padronale che a poco a poco sarebbe stato chiamato “modernizzazione“, mentre gli sfruttatori sarebbero stati pregevolmente definiti “imprenditori“.

Tutto sembra più accettabile e bello se lo si dipinge con colori che nascondono le vere tinte grigio-nere delle trame che stavano al di sotto (e anche al di sopra) di una voglia di riscatto della borghesia nei confronti delle conquiste della classe lavoratrice dal dopoguerra in avanti.

Il muro di Berlino crollò e trascinò giustamente con sé tutto l’apparato spionistico, repressivo e inumano della DDR che paradossalmente garantiva i diritti sociali ma negava quelli civili. E quale socialità mai può esistere se non si accompagna alla civiltà stessa dell’esistenza di ogni singolo essere umano e di ogni comunità che va a formare?

Nella canzone che di seguito vi proponiamo di ascoltare, i Gang ad un certo punto dicono…: “…e all’alba del giorno più lungo, dopo la caduta del muro, Bellezza sposò Fuorilegge nel nostro viaggio verso il futuro…“.

La bellezza del capitalismo, apparente più che reale, impossibile traguardo per tutte e tutti, sposa la ribellione che stava dall’altra parte, la seduce e Fuorilegge diventa così mansueto, convinto di aver mantenuto con sé valori, coerenza e senso critico.

Invece Bellezza è prima di tutto un logoramento di quei valori di uguaglianza traditi anche dall’altra parte del muro, da un “socialismo reale” che ha incatenato il comunismo ad un regime che correttamente è stato più volte definito come “capitalismo di Stato“: il felice prodotto dello stato-sociale, sviluppatosi nei paesi dell’Est, retaggio minimo rimasto della spinta rivoluzionaria dell’Ottobre, non è bastato ad esprimere compiutamente la persona umana e la umana personalità degli esseri viventi, degli “animali sociali” che per la prima volta nella storia avevano messo da parte lo sfruttamento del lavoro e avevano creato le condizioni per un assalto al cielo, per una prova concreta di superamento del capitalismo.

La rivoluzione non è morta. Anzi, grazie alla caduta del muro s’è liberata delle catene e della palle al piede dello stalinismo e della crudeltà di un potere che non era sovietismo ma degenerazione in tante oligarchie al servizio di Mosca.

Il problema, una volta caduto il muro, è stato solo quello – se si può dire così… – di non trovare dall’altra parte una vera alternativa sociale ad un socialismo antisocialista.

Ed allora l’enigma rimane ancora: meglio il socialismo irrealisticamente realizzato e finito ad essere “capitalismo di Stato” o meglio il libero mercato al qua del muro?

Nessuno dei due. Una alternativa può esistere ancora e, nonostante Stalin e l’abominio del “socialismo in un solo paese“, si chiama e si può chiamare ancora “comunismo“. Per un ritorno alle origini, prima di qualsiasi muro, senza più alcun muro.

(m.s.)

Foto di Achim Scholty da Pixabay

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