Un altro sfregio al Parlamento e al popolo italiano

I Padri costituenti avevano delineato la figura del nuovo Parlamento italiano non su un modello preesistente, ma, nei lavori dell’Assemblea che si tennero per tutto il 1947, vollero porre...
La Camera dei Deputati della Repubblica Italiana

I Padri costituenti avevano delineato la figura del nuovo Parlamento italiano non su un modello preesistente, ma, nei lavori dell’Assemblea che si tennero per tutto il 1947, vollero porre una netta cesura col passato e creare un dispositivo di definizione dei ruoli della Camere che fosse completamente rinnovato e che, quindi, facesse della Repubblica Italiana non una copia di altri tentativi repubblicani nella Penisola e, tanto meno, potesse essere considerata una sorta di continuazione – con alcune modificazioni – del regime monarchico sabaudo.

Per questo il modello di organizzazione costituzionale, che quasi subito venne imperniato sul fulcro del sistema parlamentare, fu quello di dare vita ad una Repubblica dove Camera dei Deputati e Senato della Repubblica fossero al tempo stesso una “forma di governo” senza essere il governo del Paese.

Era la cosiddetta “cellula elementare” attorno a cui avrebbe preso vita l’organismo della nuova forma dello Stato italiano.

Come si può vedere, all’epoca il grande lavoro dell’Assemblea Costituente fu ponderato e misurato davvero sul benessere del popolo italiano, visto come protagonista del nuovo corso istituzionale, come “proprietario della sovranità” pur definita nelle sue caratteristiche più delicate e, quindi, anche nei complicati passaggi da potere a potere dello Stato, dalla Costituzione stessa.

Invece oggi assistiamo ad un ridimensionamento del dibattito politico proprio sulla controriforma che approda oggi in quarta lettura alla Camera dei Deputati. Non si parla di pesi e contrappesi. Si pensa solamente a fare della mera propaganda per ristabilire degli equilibri di rappresentanza politica che possano essere utili alle dinamiche perverse e controverse tra le forze politiche di una maggioranza che sta in piedi con del nastro adesivo di pessima qualità.

Meno spese pubbliche, meno parlamentari, più agile comportamento delle Camere davanti alla definizione dei processi di legge. Che volete di più? Questo è il quadro mistificatorio e ipocrita che viene disegnato in preparazione dell’approvazione definitiva del provvedimento, tanto propugnato dal movimento grillino, chiamato “Il taglia parlamentari“.

Presentato, per l’appunto, come una grande riforma costituzionale in tema di snellimento della farraginosità burocratica delle istituzioni e, madre di tutte le battaglie pentastellate, come colpo di falce alle messi della tanto odiata “casta“, la riduzione di deputati e senatori farà sicuramente fare un salto di qualità al ruolo del Parlamento, ma nel senso più negativo che si possa attribuire a questa locuzione.

Anzitutto si mette mano alla rappresentanza di tutti i territori locali in seno alle due Camere e la si riduce in presenza di un quadro normativo non chiaro e privo addirittura di quella legge elettorale proporzionale (pura) che dovrebbe essere quanto meno un parziale riequilibrio per l’amputazione dell’arto istituzionale più prezioso nella nostra Repubblica.

Non dimentichiamoci, infatti, che l’Italia è e rimane (nonostante le Bicamerali tra D’Alema e Berlusconi, le prove di eversione delle destre con “porcellose” leggi elettorali, le controriforme di Renzi e Boschi e, ora, questa mortificazione per le due Camere firmata da Cinquestelle, PD e persino dalle componenti di Liberi e Uguali) una repubblica parlamentare: ma ognuno dei tentativi messi in campo per cambiare su questo fronte la Costituzione ha sempre avuto come obiettivo il Parlamento, la rappresentanza popolare da esso espressa, la delega che esso riceve dai cittadini mediante il suffragio universale.

E’ pertanto grave che anche alcune forze della sinistra di governo si dicano disponibili a votare questa ennesima controriforma costituzionale nel nome della democrazia stessa, nel nome della diminuzione dei “costi” per la democrazia che deve poter mantenere questo costo, perché esistono balzelli ben più pesanti per il popolo italiano e non sono rappresentati dallo stipendio dei deputati e dei senatori, ma dalla cattivissima condotta degli esecutivi nell’assecondare sempre e comunque inevitabilmente politiche di favori per i grandi redditi a scapito delle fasce più deboli e indigenti del Paese.

Questa controriforma costituzionale, che il governo Conte 2 si appresta a far votare alla sua maggioranza, è così palesemente ipocrita da suggerire persino ad un esponente democratico come Luciano Violante di evitare di trascinare il Paese in una pantomima simile e di dichiarare che si va verso un monocameralismo.

Il Parlamento è e rimane un luogo sacro per la democrazia: nemmeno gli imperatori romani, i cesari più autocratici e dissoluti hanno mai pensato di sciogliere il Senato e di governare da soli. Non era soltanto un richiamo alla tradizione a preservare l’esistenza dell’assemblea degli anziani nobili di Roma (via via riformata, già da Augusto, e resa sempre meno espressione della casta nobiliare e sempre più mista, includente anche chi proveniva da ceti sociali meno abbienti e certamente con un passato che non vantava nell’albero genealogico riferimenti a grandi famiglie coperte di allori), ma una necessità, un equilibrio che teneva insieme la parte militare rappresentata dal “princeps” e la parte amministrativo-burocratica rappresentata, per l’appunto, dal Senato.

Tornando alla nostra Costituzione, se leggiamo l’articolo 56…:

La Camera dei Deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di 630, 12 dei quali eletti nella circoscrizione Estero. [modificazione sul testo originario intervenuta con l’approvazione della normativa dell’estensione del diritto di voto agli italiani residenti all’estero].
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i 25 anni di età.
La ripartizione dei seggi fra le circoscrizioni si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per 630 e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei resti più alti.

possiamo comprendere che anche e soprattutto qui c’è una cesura col passato politico parlamentare italiano. Fino all’avvento della Repubblica nel 1946, oltre a non esistere il suffragio universale citato, non era nemmeno fisso il numero dei deputati. Si assegnava un seggio ogni 80.000 abitanti e, pertanto, il numero variava in base alla crescita demografica del Paese che, a far data dall’unificazione (1861) è sempre venuta crescendo.

Si comprende così anche la sproporzione tra deputati provenienti dalle zone maggiormente urbanizzate (quelle del nord del Paese) e quelle rurali, spopolatesi per la miseria e che conobbero grandi migrazioni verso le Americhe fondamentalmente.

I Costituenti, dunque, hanno cercato di rimediare ad una rappresentanza “ballerina” ed ineguale della popolazione nel Parlamento e hanno fissato un numero che non poteva subire modifiche ma a cui si doveva adattare la nuova demografia italiana del dopoguerra.

Oggi questo principio tornerà ad essere stravolto pur rimanendo fissi dei criteri numerici tanto per la Camera quanto per il Senato.

E’, dunque, in pericolo ancora una volta la stabilità democratica del Paese perché non si fa una simile operazione riducendo i poteri dell’esecutivo, ma si interviene sempre e soltanto sulle prerogative delle Camere: in questo caso sul diritto dei cittadini ad essere pienamente rappresentati anche da forze minori, da forze che non sono “maggioritarie” (ritorna anche qui un carsico desiderio delle forze di maggioranza di essere tali senza magari avere la maggioranza più uno dei voti validamente espressi nei seggi).

E’ una pessima giornata questa per la Repubblica e per il Parlamento italiano: a meno che il tentativo di controriforma non venga già fermato alla Camera attraverso qualche franco tiratore, qualche astenuto di troppo, qualche fronda separatista nel M5S. Ma sarebbe comunque una” vittoria di Pirro“: un simile intento e disegno politico va sconfitto alla base e per prima cosa occorre tornare alla proporzionale pura, senza se e senza ma; soprattutto senza alcuna asticella.

Entrerà in Parlamento chiunque arriverà con i suoi voti alla spartizione dei seggi finché questi saranno occupabili. Per “natura” elettorale, ovviamente qualcuno rimarrà fuori. Ma a quel punto sarà la volontà popolare a deciderlo e non leggi truffaldine e incostituzionali che troppo hanno funzionato nel loro ruolo destabilizzante della democrazia.

MARCO SFERINI

8 ottobre 2019

foto tratta da Flickr su Licenza Creative Commons

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