Chi voleva un segno concreto di quello che sarà la politica del governo Conte bis è stato esaudito. A pochi giorni dal suo insediamento un “significativo risultato”, su una delle questioni più spinose della sua agenda, quella dei profughi, sembra essere stato ottenuto.
E’ del 23 settembre infatti l’annuncio di quello che è stato chiamato “accordo di Malta”, un’intesa tra Italia, Malta, Francia, Germania e Finlandia (paese che ha la presidenza della UE in questo periodo) che dovrebbe in qualche modo rettificare il regolamento di Dublino e “risolvere” il problema dei profughi soccorsi in mare.
E’ proprio così? Andiamo con ordine.
Anzitutto occorre dire che il testo originale dell’accordo di Malta non è rintracciabile da alcuna fonte e che, quindi, possiamo solo ragionare su notizie di stampa a volte contraddittorie tra loro.
L’intesa conterrebbe sostanzialmente questi punti (fonte “l’internazionale”):
- I migranti che arrivano in Italia e a Malta e che sono soccorsi lungo la rotta del Mediterraneo centrale saranno redistribuiti nei diversi paesi europei nel giro di quattro settimane dall’approdo, superando il principio di paese di primo ingresso previsto dal Regolamento di Dublino. Per ora non sono stabilite quote di ricollocamento, che dipenderanno da quanti paesi aderiranno all’intesa.
- Sarà previsto un meccanismo di rotazione volontaria dei porti di sbarco (contravvenendo alle leggi del mare sul porto più vicino). Tuttavia se l’offerta dei porti di sbarco sarà volontaria, i porti principali rimarranno quelli italiani e maltesi.
- I paesi europei potranno aderire all’intesa su base volontaria, ma per quelli che non aderiranno potrebbero essere previste delle sanzioni.
- L’accordo riguarda i migranti che sono soccorsi in mare dalle organizzazioni non governative e dai mezzi militari, ma non riguarda i migranti che arrivano autonomamente e quelli che arrivano in Europa attraverso altre rotte come quella del Mediterraneo occidentale (Marocco-Spagna) e quella dell’Egeo (Turchia-Grecia).
Con questi provvedimenti si supererebbe, sempre secondo il nostro governo, la situazione che ha portato, nei quattordici mesi del governo Conte/di Maio/Salvini, a continue crisi umanitarie ogni qualvolta che qualche nave soccorreva dei naufraghi nel Mediterraneo Centrale e cercava di sbarcarli nel “porto sicuro più vicino” (come da leggi del mare) cioè in Italia.
Varie questioni si intersecano su questi provvedimenti.
Intanto questo accordo dovrà essere ratificato l’8 ottobre dal GAI (riunione dei ministri di Giustizia e affari interni dei paesi comunitari) e la ministra degli interni Lamorgese si è affrettata a dichiarare che: “nessuna pretesa che questo accordo sia intoccabile. Invece c’è la massima disponibilità a raccogliere indicazioni ed anche, se necessario, integrazioni o modifiche.”.
Per esempio se i rimpatri restassero a carico degli Stati destinatari della ripartizione, tornerebbe all’attenzione quanto affermato dal presidente francese Macron nei giorni scorsi: egli aveva parlato della possibilità di accogliere solo persone che giungono da Paesi con cui la Francia ha accordi di rimpatrio, così da renderne possibile il rientro nei luoghi di origine se non aventi diritto al permesso di soggiorno. Con questo paletto, il meccanismo previsto si incepperebbe.
Potremmo scommettere, ammesso che l’accordo venga accettato, che le sanzioni per i paesi che non vi aderiranno rimarranno nella penna dell’estensore del testo, come pure che diversi passaggi saranno ulteriormente peggiorati. Ma questo lo vedremo in seguito.
Se anche il testo rimanesse come uscito da Malta, sarebbe veramente arduo cercare qualcosa di positivo. Intanto vi si trova un fortissimo irrigidimento sul controllo delle ONG, che operano nel Mediterraneo per salvare vite umane, con anche un perentorio ordine di “non intralciare le operazioni di ricerca e di soccorso delle imbarcazioni ufficiali delle guardie costiere (inclusa quella libica)”. Inoltre l’accordo cita la istituzione, per i paesi di primo soccorso, di “place of savety” (postazione di salvezza). Non esclude però che “place of savety” possano essere anche imbarcazioni con caratteristiche più sicure delle navi usate dalle ONG. Potrebbe così succedere che i profughi salvati, se non detenuti in qualche Hot Spot, possano comunque rimanere in mare fino alla definizione del paese a cui sarebbero destinati. Vengono poi mantenute sanzioni e provvedimenti di confisca per le navi che non rispettassero le normative.
L’impatto di questo accordo, dal punto di vista dei numeri, dovrebbe avere effetto sul 10% circa dei profughi che arrivano in Italia via mare, oggi gran parte degli arrivi avvengono con piccole imbarcazioni private, e nessuno su quelli/e che approdano nell’Egeo o in Spagna: una goccia nel mare appunto.
Niente di nuovo: il solito razzismo istituzionale
Siamo di fronte quindi ad un provvedimento che non affronta organicamente la questione profughi ed immigrazione ma solo ed unicamente uno dei punti agitati nello scontro politico tra il precedente governo e la sua opposizione: quello degli sbarchi delle navi ONG diventato un tormentone per tutti i quattordici mesi del Conte uno. Da questo punto di vista il presidente del consiglio in carica, che poi è sempre quello che ha avvallato tutte le azioni razziste e persecutorie di Salvini, segna un punto a suo favore (abbondantemente favorito dai governi della grande borghesia europea che hanno tutto l’interesse a mantenere stabile il quadro politico italiano). Non è lo stesso però per i profughi e gli immigrati in generale né per tutti e tutte quelli/e che si battono per la difesa dei diritti umani e sociali.
In realtà l’accordo si colloca nell’alveo di quella che è oramai la politica consolidata di tutti i governi che si sono succeduti da decenni nel nostro paese. Se l’aspetto più disumano dei respingimenti salviniani è stato smussato, resta tutto l’apparato teorico, giuridico e propagandistico che porta alla chiusura delle frontiere, ai respingimenti dei profughi “economici”, alla repressione di chi cerca di varcare le frontiere.
Da questo punto di vista il segnale che nulla è in realtà cambiato è dato dalle affermazioni, via via più determinate, di vari esponenti di governo (non troppo clamorosamente silenti quelli/e del PD…). “Abbiamo un decreto sicurezza che non dismettiamo – ha affermato Conte-. Anche nel programma di governo abbiamo concordato di recepire le indicazioni di Mattarella, ma senza abbandonare uno strumento che consente di controllare le nostre acque territoriali”.
Queste affermazioni sono aggravate da quelle di Di Maio, il personaggio sicuramente più forcaiolo del governo, che, criticando il fatto che l’accordo non risolva i problemi dei rimpatri, sostiene che la soluzione sia il blocco delle partenze, stabilizzando i Paesi di origine dei flussi. Di Maio ha detto che, al suo rientro dall’Assemblea Onu, annuncerà “importanti novità sugli accordi per i rimpatri”: c’è di che aver paura!
E qui sta il vero nodo. Conte e Lamorgese, dopo la firma dell’accordo, hanno tenuto costantemente a ribadire che la nuova situazione non intacca minimamente la funzionalità degli accordi per i rimpatri già operativi. La ministra ha confermato che rimarrà in piedi l’accordo che Minniti ha sottoscritto con la Libia nel febbraio 2017 che prevede il finanziamento e l’addestramento della cosiddetta guardia costiera libica, un corpo formato da ex miliziani ed ex trafficanti che è stato accusato da diversi rapporti internazionali di aver violato i diritti umani. La Libia, cosa oramai riconosciuta da pressoché tutte le agenzie internazionali, non può essere considerata un “porto sicuro”, non solo perché vi è una guerra in corso, ma soprattutto perché i profughi, con una ancora peggiore situazione per le profughe, vengono sottoposti/e a ogni tipo di tortura e vessazione. Un inferno in terra.
Quindi, dopo un’interruzione di quattordici mesi dove vigeva la follia disumana, ai riprende, pari pari dove la si era lasciata, una disumanità razionale, quella che cerca di portare le frontiere di respingimento lontano dagli occhi nei paesi della costa sud del Mediterraneo. Intanto tutto l’apparato repressivo costruito in questi anni e giustificato proprio dalla presenza degli immigrati nel nostro paese, viene mantenuto in piedi: il decreto Minniti-Orlando, i due decreti Salvini restano totalmente operativi con tutto il loro portato distruttivo nei confronti dei movimenti sociali e di qualsiasi forma di opposizione.
Continuare a mobilitarsi
E’ quindi indispensabile che la mobilitazione avviatasi contro gli interventi disumanitari dell’allora ministro Salvini, continuino e anzi si allarghino. La battaglia per l’apertura delle frontiere, per la solidarietà umana e sociale, per la difesa intransigente dei diritti di tutti e tutte è ancora all’ordine del giorno. Chi tentenna, chi nutre illusioni sull’operato di questo governo, chi si lascia abbindolare da false promesse di cambiamenti a positivo commette un errore. Tanto più quelli che questo governo addirittura lo sostengono.
Se qualcuno/a si è letto le dichiarazioni del leader di Sinistra Italiana, Fratoianni, apparse in rete non può che essere rimasto basito. Le sue parole di plauso al governo (“Dunque bene l’iniziativa del governo che con poco clamore agisce. La differenza con prima è che gli sbarchi fantasma ci sono sempre stati, non esiste e non esisteva l’emergenza immigrazione e si mostrava semplicemente la faccia feroce con i naufraghi lasciandoli in balia del mare. Oggi la propaganda parolaia ha avuto uno stop.”) rappresentano il massimo dell’ipocrisia e del politicismo più bieco che passa sopra alle vite umane. Fratoianni è’ passato dall’essere paladino dei profughi a considerare secondario quello che succede nella Libia dove il suo governo vuole rimandare le persone che fuggono da guerra, miseria e disperazione.
Il 12 ottobre Milano vedrà un corteo contro l’apertura dei CPR e i decreti Salvini, un corteo lanciato con il Conte uno in carica e che ora, ovviamente, si colloca in un diverso e più difficile quadro politico. Ugualmente mantiene integra la sua carica propositiva ed è importante, tanto più dopo questo infame accordo, che il maggior numero di persone, associazioni, centri sociali, organizzazioni politiche vi partecipino sapendo che la lotta è solo ai suoi primi passi.
IGOR ZECCHINI
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