Bene ha fatto Mattarella a chiedere scelte nette e tempi stretti. Tra strappi e sabotaggi visibili o occulti la crisi va a chiudersi, in un modo o nell’altro. La discontinuità indispensabile a rendere politicamente significativo e utile un governo di lunga durata al momento solo si intravede, e forse non ci saranno certezze prima del discorso programmatico per la fiducia. Ma qualche riflessione su punti politicamente e costituzionalmente rilevanti si può già fare.
Primo: Di Maio.
Ovvia la sua preferenza per un ritorno nelle braccia di Matteo Salvini, che ha individuato in lui la leva per recuperare l’errore di aver precipitato la crisi, probabilmente spinto dall’arrogante aggressività dei governatori secessionisti.
Di Maio, con l’appoggio di alcuni fedelissimi e di filoleghisti come Paragone, dice di voler tutelare la sua posizione di capo politico. Ma il combinato disposto Di Maio – Salvini ha fatto perdere a M5S nel voto europeo la metà dei consensi rispetto al 4 marzo 2018. È bastata la fine dell’esperienza targata Di Maio per consentire nei sondaggi al M5S un forte recupero. Chi, se non il capo politico, dovrà assumersi la responsabilità? E se nulla cambia nella leadership M5S, si potrà garantire la discontinuità?
Secondo: taglio dei parlamentari.
È discutibile in sé, e in ogni caso è stato giustamente legato a una legge elettorale proporzionale. Diversamente, sarebbe probabile l’incostituzionalità della legge per la distorsione della rappresentatività delle assemblee. È interesse sia del M5S che del Pd, posto che il secondo e ancor più il terzo partito sono penalizzati dalla legge vigente. Di minore rilievo la proposta di abbinare al taglio dei parlamentari anche una modifica costituzionale per la sfiducia costruttiva, la cui effettiva incisività è opinabile.
Terzo: presidenti di commissione.
Abbiamo letto di presidenti leghisti che, mantenendo a norma di regolamento la carica per circa un anno, minacciano guerriglia.
Ma è in larga parte un pezzo di teatro. Il punto è che in commissione non sono applicate le regole di aula contro l’ostruzionismo.
I parlamentari di opposizione possono bloccare i lavori, a prescindere da chi fa il presidente. Nel caso, la conferenza dei capigruppo può richiamare la questione in aula, dove i lavori si svolgono senza relatore. Certo una difficoltà operativa, da gestire. Ma che il presidente di commissione sia un leghista arrabbiato conta meno di quel che può sembrare.
Quarto: autonomia differenziata.
Di Maio ha chiesto il «completamento del processo» per Veneto. Lombardia ed Emilia-Romagna. Forse un’apertura a Salvini, con un punto di appoggio nella debolezza Pd a causa dell’Emilia-Romagna, posta da Bonaccini al traino della Lega. Qui rileva Renzi: «… soprattutto occorre uno sguardo diverso sull’autonomia: più che investire sui consiglieri regionali, bisogna dare soldi e poteri ai sindaci. … L’Italia è l’Italia delle città, non dei consiglieri regionali. Una maggiore autonomia ai comuni, specie al Nord, sarebbe la migliore risposta alla propaganda leghista” (Il Sole24Ore del 1° settembre). Lo stesso dice Sala: «… è assurdo il modo con cui si sia tentato di dare più poteri alle Regioni. Una delle speranze che ripongo in questo governo è proprio il ribaltamento della logica autonomista …» (Il Corriere della sera, 1° settembre). Per una volta, Matteo Renzi si ravvede rispetto alla sua riforma costituzionale. Ma rimane aperto il punto di una corretta distribuzione territoriale delle risorse.
Quinto: Rousseau.
Non è accettabile che il voto di poche migliaia di militanti – per di più privo di adeguate garanzie – si sovrapponga, cancellandola, alla volontà dei circa undici milioni che hanno eletto oltre trecento deputati e senatori M5S, e al mandato da questi conferito a trattare per un nuovo governo.
La democrazia dei clic può essere costruita come correttivo della democrazia rappresentativa, mai come alternativa che la sostituisca.
Si aggiunga che, comunque vada il voto, già averlo chiesto fa in prospettiva danno al M5S. L’ha capito Grillo e, sia pure in linguaggio per iniziati, l’ha detto.
Si pone ai potenziali futuri elettori M5S una domanda implicita: «Accettate voi che il destino del vostro paese sia deciso da pochi ignoti su una piattaforma cui non affidereste il vostro home banking»?
MASSIMO VILLONE
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