L’ultimo giorno di campagna elettorale come sempre è frenetico. Il clima è surriscaldato. Lunedì la Spagna potrebbe svegliarsi molto più a destra di quanto non sia mai stata, o come uno degli ultimi baluardi della sinistra in Europa. O magari nessuna delle due cose, se alla fine i numeri permetteranno un’alleanza fra socialisti e Ciudadanos. E non è neppure scartata la possibilità di uno stallo, come nel 2015, in cui il capo dello stato dovette convocare nuove elezioni a pochi mesi di distanza.
Vada come vada, queste elezioni del 2019 presentano tre elementi di novità che vale la pena ricordare. Per la prima volta infatti le destre si presentano divise, e senza avere del tutto chiari i rapporti di forza. A destra questo non era mai successo: né gli elettori, né gli stessi attori politici sono abituati a gestire questa frammentazione nella parte destra dello scacchiere politico. Le scaramucce fra Pablo Casado, del Partido Popular, e Albert Rivera, di Ciudadanos, che si somigliano in molti aspetti persino fisici ed anagrafici, non si limitano alle dirette televisive, ma continuano con colpi bassi alternati a mani tese negli appuntamenti di campagna elettorale di questi giorni.
Ma la vera incognita è Santiago Abascal di Vox, un partito che non è stato invitato a nessun dibattito elettorale (la Giunta elettorale lo ha impedito anche a chi voleva farlo) ma che continua inquietantemente a riempire i suoi meeting e che ha 130mila abbonati su youtube, mentre i suoi video sono stati visti da ben 5 milioni di persone nell’ultimo mese. I video di Unidos Podemos in questo stesso periodo sono stati visti invece da mezzo milione di persone secondo dati forniti ieri dalla Cadena Ser (quelli di Ciudadanos, sei milioni e mezzo).
I tre leader sanno che un governo della destra passa per un accordo, e Casado e Rivera dicono di essere disposti a negoziare, ma entrambi fanno finta di non aver bisogno di Vox, i cui elettori però cercano esplicitamente di sedurre. L’Andalusia incombe.
Il secondo elemento di novità è che la sinistra, per una volta, arriva alle urne se non in pace, almeno serena. Pablo Iglesias non ha rinunciato a differenziarsi sia per linea politica che per stile dal leader socialista Pedro Sánchez, senza risparmiare critiche e qualche frecciatina politica, ma evitandi arrivare allo scontro. E lo stesso Sánchez in questa campagna ha cambiato completamente stile rispetto al 2015 e 2016: Podemos non è più il nemico, addirittura (inaudito in un dibattito elettorale) ha ringraziato pubblicamente la formazione viola per averlo appoggiato in questi nove mesi (senza di loro non sarebbe sopravvissuto neppure un giorno). D’altra parte, anche Iglesias ha subito una spettacolare metamorfosi: tono pacato, ha scelto durante i dibattiti di non gettarsi nel fango della lotta (piuttosto puerile) fra gli altri tre candidati per trasmettere invece messaggi politici chiari. La linea politica è sostanzialmente la stessa, sono le forme a essere diverse. Sorprende che, ora che è nota la campagna di persecuzione politica perpetrata durante il governo Rajoy dalle “fogne” coordinate dal ministero degli interni popolare contro la formazione (e contro i partiti indipendentisti catalani), nessun altro partito abbia stigmatizzato l’enorme pericolo per la democrazia spagnola che questo comportamento criminale rappresenta. Gli stessi socialisti hanno solo timidamente garantito di aver “smantellato” il dipartimento che se ne occupava.
L’ultimo elemento da sottolineare è che nonostante gli sforzi di Rivera, che giura e spergiura che Sánchez è un pericolo per la democrazia e che bisogna mettere un «cordone sanitario» attorno al partito socialista (ma non attorno a Vox), nonostante la chiara strategia di Ciudadanos di abbracciare una linea politica marcatamente di destra e nazionalista, e nonostante gli anni di fattiva collaborazione arancione con il Pp prima di Rajoy e poi di Casado, i socialisti si sono rifiutati di chiudere del tutto le porte a un possibile accordo con loro. Lasciando gioco facile a Unidas Podemos, che ripete: solo noi possiamo garantire che il partito socialista faccia davvero cose di sinistra. Se ci fossero i numeri, per Sánchez un accordo con Ciudadanos potrebbe essere meno costoso (e meno soggetto a pressioni dei poteri forti). Oggi sembra impossibile, ma non sarebbe la prima volta che Rivera cambia idea.
Parodossalmente, però, mai come in queste elezioni il destino del Psoe è in mano degli elettori di Podemos. Di certo la guida del governo, che un Podemos meno debole del previsto potrebbe garantirgli, ma anche e soprattutto la vera natura delle basi del partito, che senza dubbio digeriscono meglio le gran parte delle politiche sponsorizzate da Podemos che quelle che verrebbero negoziate con Ciudadanos.
LUCA TANCREDI BARONE
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