Michele per me è un nome importante. Non è il mio. Proprio questo è importante. E’ un nome che rimane nella storia della mia vita.
Michele è il nome di altre persone che ho conosciuto in quasi mezzo secolo di esistenza. E’ un nome che mi ha sempre portato alla mente momenti felici, istanti di una giovinezza ormai trascorsa.
Da ieri, qualcuno vorrebbe che io mi ricordassi di Michele in altro modo, associando questo nome al modellino di un feto di pochi mesi: un giocattolino di plastica, plasticamente rappresentante quei tanti bimbi che sarebbero stati uccisi con l’aborto.
Pratica satanica, diabolica, delitto per il vescovo di Padova.
Diritto della donna a decidere in ultima istanza la sorte propria anzitutto e quella di una forma di materia incosciente che potrebbe nascere deformata, con gravi malattie o molto più semplicemente non voluta dalla genitrice.
Il diritto divino dei congressisti per la famiglia impone che il feto abbia già personalità giuridica, morale e quanto d’altro ancora prima dei tre mesi previsti dalla Legge.
Il diritto italiano prevede altro. Conquiste di un recente passato, diritti delle donne acquisiti in nome di una moralità laica che prevedeva e prevede tutt’ora che anzitutto si metta davanti il diritto alla libera scelta e alla salute della madre e del bambino. Senza contrapporle tre i due soggetti interagenti.
Michele per me non sarà mai il nome di una piccola cosa di pessimo gusto (mi perdoni Gozzano…) messa in circolazione per conquistare paginate di giornali e aperture di siti Internet ad un convegno che riunisce nemmeno la parte più “medioevale” del Paese, perché persino nel Medioevo certe idee propagandate a Verona erano meno rigide e più avanzate…
No, Verona non sostituirà in me ogni ricordo che associo al nome “Michele”: fanciullezza, giochi, sentimenti dolci, amore.
In questo, almeno, la Vandea veronese raccapricciante ha fallito. Davvero miseramente.
(m.s.)
foto tratta dal web