“Viviamo in un tempo senza epoca. C’è il nostro tempo, manca però l’epoca: quella contingenza capace di sollevarsi e rimanere per il futuro, fare futuro”.
Così scrive Mario Tronti nel suo libro – intervista con Andrea Bianchi “Il popolo perduto – per una critica della sinistra “uscito in questi giorni per “Nutrimenti”.
Più avanti aggiunge: “Oggi tornano a far capolino qua e là, tra gli illuminati, ideologie cosmopolite. L’affascinante utopia del governo mondiale non è praticabile, come tutte le utopie. Ma come tutte le utopie serve a porre il problema della progettazione dell’avvenire. In questo senso Kant intendeva l’idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico”.
A quel punto nel testo si affronta il tema della “globalizzazione” intesa come “forma – mondo”.
“Un tempo senza epoca”: ci sarebbe da replicare subito.
Stiamo vivendo, infatti, un’epoca ben definita, almeno per quello che riguarda noi in questo “scoglio di mondo” che si chiama Europa: ed è l’epoca dell’individuo, interno e contrapposto nella sua solitudine alla massa moltitudinaria dalla quale non scaturirà mai il senso dell’utopia ma piuttosto l’azione di una “rivolta senza direzione”.
Non basterà il Kant della “legge morale” a riportare l’individuo nell’alveo di un’idea di liberazione collettiva: mancano presupposti e soggetti.
Il cosmopolitismo così enunciato, anche nel testo di Tronti, appare quasi come una fantastica Via Lattea all’interno della cui striscia di luce i soggetti si muovono senza perseguire, almeno in apparenza, alcun fine.
Esisteva una forma – mondo ed era quella che definivano gli Stati: oggi un’entità vera di Stato – Nazione nel senso di riferimento d’identità, confini, luogo di scontro e di confronto finalizzato a conseguire il potere politico la si trova soltanto nei grandi Imperi – continente, il resto è periferia che ruota, marginalità da sfruttare o addirittura da comprare in una logica inedita di aggiornamento del colonialismo.
Ci troviamo ormai di fronte ad un giudizio generalizzato di stampo olistico che, cancellando ogni contrapposizione di classe e ogni conflitto interno alla società arriva a farci pensare alla progettazione del “governo mondiale” come unica frontiera possibile.
Da questo punto di vista assistiamo invece oggi a una sorta di abdicazione: da parte delle teorie politiche critiche della società, mentre si moltiplicano teorie (e movimenti sociali) che riducono il problema a una pura e semplice mistificazione.
Non basta riversare l’individuo in una “posizione collettiva di scopo”, da realizzarsi soltanto attraverso un’esortazione morale che inviti a guardare in alto “verso il cielo stellato” lasciando intatta la solitudine.
Neppure può essere considerato sufficiente il confronto individualismo/collettivo da eseguirsi secondo i canoni classici della concezione degli obiettivi politici della nostra tradizione, rivoluzionaria e riformista: socializzazione dei mezzi di produzione e della distribuzione, considerato come il mezzo attraverso il quale si realizza il passaggio dalla proprietà privata a un tipo di proprietà collettiva e di conseguenza si annulla l’individualismo istituzionale, poiché rappresenterebbe, di fatto, il passaggio dal particolare all’universale.
E’ necessario, invece, uno strumento di mediazione e di sintesi che altro non può essere che la “politica” nelle sue forme più alte.
Lo scopo della mediazione e della sintesi esercitate con l’azione politica può, infatti, restituire spirito critico e consentire all’individuo di scorgere, ben al di là della moltitudine, la visione generale dei grandi problemi della storia e quella particolare delle specifiche settorialità nelle quali è suddivisa la vita quotidiana, nei suoi scopi di produzione e di soddisfazione dei bisogni.
Per tornare però a questo punto è indispensabile ricostruire un’idea della forma – mondo: con tutte le incognite e le contraddizioni che reca con sé assegnarsi questo compito.
Lo fecero i filosofi tra il Secolo dei Lumi e della rivoluzione borghese e quelli delle grandi rivoluzioni industriali, degli “Stati – Nazione”, delle guerre civili europee poi allargatesi agli Oceani.
L’invito che, da questo punto di vista, può essere raccolto partendo dal testo di Tronti è forse quello del ritorno alla “libertà del pensare” e forse, rispetto a questo invito che pure nel libro viene formulato, c’è qualcosa di più da cercare oltre al contrasto verso l’individualismo dominante, la personalizzazione, l’epidemia dell’antipolitica, la politica come evento mediatico e il peso della finanza globale.
La “libertà del pensare” potrebbe forse associarsi all’antico grido di Claudio Napoleoni “cercate ancora” e questa ricerca del libero pensiero servire a ritrovarci sulla sponda mai antica dell’utopia recuperando così la politica.
FRANCO ASTENGO
22 febbraio 2019
foto tratta da Pixabay