Furono i nazisti ad avere paura (e giustamente) della tomba eretta a Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Era una sorta di monumento sorto nel punto del cimitero di Friedrichsfelde dove erano state sepolte le vittime della rivolta (di rivoluzione è difficile parlare) spartachista del novembre 1919.
Un blocco di grandi mattoni con sopra una stella e la falce e martello ben visibili. Ai piedi stavano le tombe dei trentatré rivoluzionari che avevano dato vita al Partito Comunista Tedesco (già “Lega di Spartaco”) e che, per vicende differenti e in momenti diversi, erano stati uccisi duranti i moti di Berlino o dalle guardie paramilitari del governo socialdemocratico che vedeva in Rosa Luxemburg e in Karl Liebknecht la “minaccia rossa” al neocostituendo ordine della nuova repubblica appena sorta dalle ceneri dell’impero di Guglielmo II.
Fu inaugurato da Wilhelm Pieck, il primo di una serie di presidenti della futura e famigerata RDT che certamente una comunista libertaria come la Luxemburg avrebbe condannato e indicato come degenerazione autoritaria di un socialismo soltanto nominale negli emblemi e nelle carte bollate del satellite sovietico.
Poi, dopo quel 1926, vennero i nazisti e il mausoleo ai socialisti venne devastato e tutto disperso. I corpi sono simboli e i simboli, soprattutto se ancora vivi nella memoria e nell’attività politica del presente, rappresentano un pericoloso viatico per le coscienze: impediscono che si pieghino completamente a giravolte autoritarie prima inimmaginabili.
Trasportato ciò nell’oggi italico, lo si vede nei tanti che celebrano con lacrime al seguito la figura di un socialista come Sandro Pertini e poi in cabina elettorale votano Cinquestelle, Lega… Potrebbe chiamarsi “trasformismo” moderno, erede di un inglorioso passato della politica dello Stivale. Invece è un costume tutto nuovo fatto di un sincretismo che unisce di tutto un po’: memoria antifascista e protesta anti-casta, ribellismo operaio di ieri e leghismo sovranista di oggi.
Ai tempi dell’avvento del nazismo i contesti erano simili (non certamente uguali) a quelli odierni: crisi economica e svalutazione pesantissima del marco, instabilità politica di una giovane quanto fragile democrazia nata in quel di Weimar e, a corollario di tutto ciò, un elemento che differenzia passato e presente nel paragone che facciamo: l’occupazione militare della Renania, la regione più ricca della Germania in quanto ad industrie minerarie (e non solo) da parte delle potenze vincitrici della Prima guerra mondiale.
La furia iconoclasta antisocialista dei nazisti dunque si spinse anche sui morti oltre che sui vivi: appena conquistato il cancellierato, Hitler inasprì le azioni violente contro tutte le parti politiche e il cimitero di Friedrichsfelde non fu risparmiato. Ci vollero comunque ancora due anni perché il memoriale inaugurato nel 1926 venisse completamente raso al suolo e spianato, tentando di mettere a tacere una storia di un movimento operaio e comunista che in Germania era ancora viva e che solo il terrore della svastica, dilagato in tutto il paese dopo la morte del presidente maresciallo Hindenburg, aveva costretto al silenzio.
Soltanto nel 1951 fu possibile ricostruire un nuovo “Memoriale dei socialisti” con al centro una stele e il motto: “Die Toten mahen uns (“I morti ci ammoniscono”) ed intorno le tombe di dirigenti comunisti e socialisti uccisi nel periodo che va dal dopoguerra fino alla caduta del nazifascismo.
Ma la storia ha volti e risvolti, cambia ma si somiglia sempre perché a generarla non è solo la natura che ci circonda e condiziona le nostre azioni, ma proprio gli esseri umani ne sono protagonisti e seguono flussi e riflussi che originano da cause quanto meno simili in diversi tempi.
Proprio ieri, a Londra, nel cimitero di Highgate, dove si trova la tomba di Marx (e della sua famiglia), la lastra di marmo che risale al 1881 e successivamente incastonata nel monumento, è stata fatta oggetto di martellate, vandalizzata con un chiaro gesto politico, visto che tutte le altre vicine tombe non sono state minimamente toccate.
Il gesto mi ha riportato alla mente la vicenda travagliata di coloro che hanno seguito le orme del Moro e si sono battuti per tutti gli sfruttati di una Germania scivolata nel più pericoloso dei regimi: la negazione delle libertà borghesi unita ad una unica morale per giunta razzista, onnipotente e decisa a uniformare tutto sul suo esclusivo “nuovo ordine”.
I livelli di intolleranza e di aperto disprezzo verso le idee altrui si possono esprimere oggi in modi che, anche in un recentissimo passato, avremmo escluso come concretizzabili: ciò che ieri era indicibile, l’essere fascista, razzista, l’odiare spregiudicatamente chi non è italiano, chi ha un credo differente da quello cristiano, è divenuto tollerabile, dicibile, affermabile e ribadibile.
Nel nome, si intende, della “libertà di parola” e nel provare a dimostrare che i comunisti, che hanno contribuito a fondare questa Repubblica e la sua democrazia, sono degli stupidi sognatori che ancora credono di poter lottare per i diritti e la giustizia sociale provando a cambiare un mondo dove miliardi di persone sopravvivono e soltanto poche, alle spalle di tutte queste, se la godono beatamente.
Gesti di disprezzo e di odio non riguardano solo i simboli di una parte politica e ideale, ma pure si rifanno ad un vergognoso antisemitismo che rievoca l’approvazione delle famigerate leggi razziali del 1938, oppure ancora ad aggressioni fisiche agli omosessuali per la loro “diversità” dalla “normalità” della “maggioranza” eterosessuale.
Se il diritto all’esistenza e alla libertà lo hanno solo coloro che sono “in maggioranza”, vuol dire che questa società ha paura prima di tutto di sé stessa e teme di perdere non tanto la sua identità culturale che non conosce fino in fondo ma solo superficialmente, per sentito dire, ma si arroga il diritto di insegnare alle minoranze cosa sia giusto e cosa non lo sia.
La dittatura della maggioranza è cosa ben diversa dal “principio di maggioranza”. Ad ispirare gesti come quelle martellate date oggi alla tomba di Marx e domani a qualche lapide ebraica o in testa a qualche ragazzo gay (basta ricordarsi cosa accadde nelle Marche soltanto poco tempo fa in nome del patriottismo malato di derivazione neonazista), è proprio una rivalutazione del concetto di maggioranza in chiave morale piuttosto che un semplicissimo calcolo numerico dei posti a sedere in Parlamento attribuiti da bizzarre leggi elettorali che violano l’espressione della vera delega popolare.
Dietro le martellate alla tomba di Marx c’è tutto un clima di odio e di fanatismo neofascista che in molti minimizzano, fanno finta di non vedere, salvo poi un giorno doverne prenderne atto quando ne saranno immersi oltre il collo con noi che avevamo visto per tempo il pericolo revanchista.
MARCO SFERINI
7 febbraio 2019
foto tratte da Wikimedia Commons