Reddito e quota 100, la coperta è corta

Governo. Rinviato ma poi confermato, il Consiglio dei ministri in calendario oggi sulle due misure simbolo dei gialloverdi ha il problema della mancanza di coperture. Versioni contrapposte dagli alleati sui tagli agli assegni per le famiglie con disabili e sul pensionamento e il Tfr dei dipendenti pubblici

Sulla carta dovrebbe essere il giorno della fumata bianca e forse lo sarà davvero. Il giorno in cui prendono corpo le misure delle quali il governo parla da quattro mesi e che hanno portato a un passo dalla guerra con l’Europa: quota 100 e reddito di cittadinanza. Non è ancora certissimo che quel pennacchio si levi davvero da palazzo Chigi oggi, ma i governanti confermano che il consiglio dei ministri si terrà. Ieri sera molto, se non tutto, era ancora in alto mare. La prima ipotesi era un vertice notturno di maggioranza, sostituito poi da un faccia a faccia Conte-Di Maio che però avrà all’ordine del giorno soprattutto la nomina del nuovo presidente della Consob. Una grana tutt’altro che risolta: il pollice del Quirinale nei confronti di Marcello Minenna sembra sia ancora volto all’ingiù.

L’ormai legendario decreto dovrà essere sbloccato stamattina da una riunione dei triumviri Conte, Salvini e Di Maio a palazzo Chigi. Se non dovessero trovare la quadra il consiglio dei ministri del lieto evento potrebbe slittare a domani se non alla settimana prossima. Ufficiosamente i nodi ancora aggrovigliati sono essenzialmente due. Il primo, conclamato, riguarda le pensioni di invalidità. Nelle trattative di questi giorni qualche passo avanti i soci in giallo e in verde lo hanno fatto. Per ora le famiglie che dovrebbero usufruire dell’aumento sarebbero circa 254mila, quelle che contano almeno un componente con invalidità dal 67% in su. Per la Lega però non è ancora sufficiente: un nuovo allargamento della platea dovrebbe quindi essere delegato al parlamento in fase di conversione del decreto.

Il secondo scoglio, però, è ancora del tutto insuperato. Impossibile infatti varare quota 100 senza penalizzare doppiamente gli statali. Prima di tutto perché per loro la «finestra» si spalancherebbe più tardi che per gli altri, in luglio se non addirittura in ottobre, ma soprattutto perché è impossibile evitare il differimento del Tfr per un periodo molto lungo, in alcuni casi fino ad addirittura 8 anni. L’unica possibilità è quindi quella del prestito da parte delle banche con gli interessi pagati dallo Stato. Il quale però difetta dei fondi necessari. Anche se nessuno lo ammetterebbe mai, quei fondi possono oggi essere trovati solo decurtando la copertura del «reddito», che però è già insufficiente. Il problema enorme rappresentato da una coperta troppo corta emergerà senza dubbio in parlamento, ma in realtà tiene già banco.

Ieri i 5 Stelle hanno smentito con fermezza le voci su un ridimensionamento in extremis del reddito. La cifra, giurano sul blog, resta quella dichiarata dall’inizio: sino a 780 euro. Bisogna credergli. A questo punto tornare indietro sarebbe un colpo micidiale per la credibilità già traballante di Di Maio e della sua squadra di governo. Ma come coniugare questa esigenza con la scarsità di fondi e con le richieste ultimative della Lega, passando indenni il vaglio della Ragioneria, è un cerchio ancora da quadrare.
In queste condizioni il passaggio in parlamento rischia di rivelarsi davvero impervio. Lo sarebbe comunque, ma lo sarà tanto più se per quel momento i partiti di maggioranza non avranno risolto il contenzioso sul modello di sviluppo, in concreto su Tav e trivelle, che al momento è lontanissimo dal chiudersi.

Ieri Paolo Foietta, commissario del governo per la Torino-Lione, a margine dell’audizione in commissione Trasporti alla Camera è stato netto: «La Tav si deve fare. La decisione è stata presa dal parlamento e per tornare indietro un passaggio parlamentare è obbligatorio». Ma soprattutto Foietta, che lamenta il non essere mai stato convocato dal governo, gira la lama nella vera ferita aperta: i costi dell’eventuale blocco. «Anche senza le penali si dovranno restituire i fondi già ottenuti e farsi carico dei contenziosi per l’interruzione dei lavori. Se non si fa nulla si spende comunque più di quanto si spenderebbe per la fine del tunnel base». E’ un argomento che la Lega non mancherà di usare ma che sbatte sulla posizione di principio dei 5S, a cui dà ancora una volta voce Fico: «Il no alla Tav per M5S è un principio identitario».

ANDREA COLOMBO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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