Dal 2,4% di deficit al 2,04%, con la speranza che molti non si accorgano della differenza. La resa del governo italiano, forse inevitabile, è siglata da una raffica di trovate furbesche tipica della politica più vecchia del mondo. Bisogna impedire che l’elettorato capisca quanto totale è stata la sconfitta e l’avvocato Conte, fresco di incontro con la trimurti della commissione, il presidente Juncker, il vice Dombrovskis e il commissario all’Economia Moscovici, non si risparmia. «Rispettiamo gli impegni su reddito di cittadinanza e quota 100. Non rinunciamo a nulla». Non cambia niente insomma? Altroché se cambia, ma in meglio: «Il deficit strutturale calerà e la crescita sarà superiore alle aspettative». Oltre l’1,5% nonostante l’incombente fase recessiva? Proprio così. A rendere possibile il miracolo è che il governo era stato «particolarmente prudente» nei conti. Invece, lieta sorpresa, «le stime tecniche ci hanno consentito di recuperare risorse e abbiamo aggiunto qualcosa sul piano delle dismissioni». Insomma, cosa saranno mai 7,5 miliardi in meno da sommarsi ai circa 15 già cancellati con la revisione del deficit 2020 e 2021, sempre che basti e probabilmente non sarà così?
La resa del governo si è consumata tra due incontri con il capo dello Stato, quello prima della cena con Juncker in cui il governo accettò il primo passetto indietro, e il pranzo di ieri con tutto lo stato maggiore del governo nel quale Mattarella ha raccomandato di chiudere comunque in modo positivo la vertenza, altrimenti il rischio per l’economia sarebbe altissimo. Resta da vedere se l’Europa si accontenterà. Non è detto ma Conte ci spera molto. Confessa di essere «ambizioso», tanto da ritenersi capace di portare a casa la promozione, cioè la mancata procedura d’infrazione, solo perché ha concesso quasi tutto quello che gli veniva chiesto. Napoleonico.
In ogni caso «l’avvocato degli italiani» ha riscontrato un «clima proficuo» e le fonti di Bruxelles confermano: passi avanti significativi però «c’è ancora del lavoro tecnico da fare». La commissione vuole che il cedimento sia reale e non un gioco delle tre carte: oltre al «numerino» del deficit bisognerà mettere mano, nero su bianco, anche al merito delle riforme. Questo il piattino che Conte ha portato ieri al vertice notturno con i vicepremier, e sul quale già da oggi, a Bruxelles, Tria intavolerà «trattative a oltranza». Ma a questo punto immaginare una rottura in extremis è quasi impossibile.
In realtà se la Ue si impuntasse per un ulteriore abbassamento del deficit, sino all’1,8% richiesto, il governo italiano non reggerebbe il colpo e dovrebbe controvoglia impuntarsi. Su quel fronte dalla commissione non dovrebbero arrivare troppe difficoltà. L’ostacolo potrebbe essere il Consiglio europeo, con i rappresentanti dei governi più rigidi al suo interno. Però penalizzare l’Italia nonostante la genuflessione chiudendo gli occhi su una Francia che si avvia a superare a vele spiegate il 3% potrebbe essere troppo persino per i falchi come gli olandesi o gli austriaci.
Il caso francese è spinoso in sé. E’ evidente che sono state usate misure diverse, al punto che già ieri Moscovici aveva escluso iniziative nei confronti del suo Paese. Situazione imbarazzante che il ministro Tria risolve nel modo più ineffabile, cioè negando sfacciatamente la realtà: «Non ci sono due pesi e due misure nel comportamento della commissione». E non se ne parli più.
A imporre la resa a un M5S che fino all’ultimo aveva esitato prima di varcare all’indietro il Rubicone del 2,2% è stata la pressione massiccia dei tecnici ma anche dell’ala pragmatica della Lega, guidata da un Giorgetti che ieri infatti esultava. Ma è stata anche la consapevolezza dei rischi enormi di crisi di governo che la procedura d’infrazione comporterebbe. Se la procedura sarà evitata quei rischi diminuiranno senza scomparire. La coperta è cortissima e per i soci di maggioranza dividersela non sarà un gioco. Il primo banco di prova sarà comunque la sostituzione di una pedina fondamentale come Tria in gennaio. Tra le voci che corrono la più accreditata indica un esperto in debito pubblico: Gustavo Piga.
ANDREA COLOMBO
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