Il “Gattopardo”, grande romanzo storico di Tomasi di Lampedusa, ha compiuto sessant’anni.
Una ricorrenza caduta più o meno nell’indifferenza generale, salvo qualche levata di scudi in particolare da parte del nipote (da segnalare una meritevole iniziativa del Circolo Pirandello animato dai siciliani trapiantati a Savona: detto per inciso e per rendere onore al merito).
Il mondo politico italiano avrebbe dovuto però ricordare quel passaggio che non fu soltanto letterario e cinematografico come verificatosi nel grande film di Visconti con Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon.
Nello scorrere della vicenda del “Gattopardo” infatti, si rinviene l’istituzionalizzazione dell’essenza di quanto ha mosso e muove, nella più stretta attualità, il nostro sistema politico.
Ben oltre il “trasformismo” (per la gran parte prodotto italiano come vedremo brevemente) è proprio il “gattopardismo” (neologismo fortunatissimo all’epoca e in seguito) a definire formalmente questo procedere sempre largamente presente nelle dinamiche del nostro sistema.
Questa la definizione esatta del termine, presa di peso dall’Enciclopedia Treccani.
“Nel linguaggio letterario. e giornalistico, l’atteggiamento (tradizionalmente definito come trasformismo) proprio di chi, avendo fatto parte del ceto dominante o agiato in un precedente regime, si adatta a una nuova situazione politica, sociale o economica, simulando d’esserne promotore o fautore, per poter conservare il proprio potere e i privilegi della propria classe. Il termine, così come la concezione e la prassi che con esso vengono espresse, è fondato sull’affermazione paradossale che «tutto deve cambiare perché tutto resti come prima», che è l’adattamento più diffuso con cui viene citato il passo che nel romanzo Il Gattopardo si legge testualmente in questa forma «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi» (chi pronuncia la frase non è però il principe di Salina ma suo nipote Tancredi).”.
Se si riflette ci si accorge, nell’attualità, di situarsi ben oltre il “trasformismo” classico, che qualcuno recentemente intendeva combattere modificando l’articolo 67 della Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Niente di più sbagliato considerando che la proposta arrivava proprio dal fondatore di quel movimento che ha fatto molta strada in campo elettorale erigendo una sorta di monumento nazionale al “voto di scambio” attraverso la promessa di un reddito di cittadinanza indiscriminato per tutti.
Movimento che arrivato al governo per questa via adesso si trova alle prese appunto con la necessità di esercitare non tanto e non solo il trasformismo (già fatto: si era partiti con l’idea “mai alleanze con qualcuno” e si è arrivati al governo con l’estrema destra) ma proprio il “gattopardismo” e l’adattamento all’esistente che deve proprio rappresentare ragione di vita o di morte.
Trasformismo che aveva avuto origine fin dalle manovre intestine tra i partiti durante la Rivoluzione Francese (il Marais) e poi si era caratterizzato come punto di distinzione del sistema politico italiano attraverso due fondamentali passaggi storici: nel 1852 il “connubio” cavouriano; il governo Depretis nel 1876; i passaggi dal rifiuto della guerra all’interventismo fino a diventare vera e propria “forma di governo” nella lunga fase di centralità democristiana, nel corso del secondo dopoguerra del ‘900.
Oggi siamo dunque a un salto di qualità: è il “gattopardismo” che diventa esso stesso forma di governo, in un gran clangore di tamburi e nel rumoreggiare di folle insieme osannanti ai nuovi capi e allo stesso tempo rancorose nella difesa dei propri privilegi corporativi.
Così ci sono tornate alla mente le pagine sul plebiscito siciliano del 1860: il richiamo al “Gattopardo” irresistibile così come la necessità di una seria comparazione con il presente.
FRANCO ASTENGO
22 novembre 2018
foto tratta da Pixabay